"A Mutio sovviene subito Aboriskô.
Il
villaggio fantasma immerso nella foschia, così come si era mostrato una volta
che l’illusione era caduta. Nebbia, ruderi e dannati. Stringe la mano di Mikael
fino a fargli male; suo figlio non caccia un lamento, forse non c’è spazio
nella sua gola contratta. Segue l'Estraneo con gli altri, gettando occhiate nervose
a tutto quanto li circonda. Coglie lo spettro degli abitanti di Alavar, ben più
numerosi dei pochi rimasti nella dimensione originale. In alcune zone la nebbia
si condensa talmente da renderli spettri loro stessi, chiazze vaghe fra vicoli.
In altre quasi si dissipa, abbassando il velo sulle fattezze grottesche del
borgo. Mutio osserva le figure contorte che si trascinano fra le case, ascolta
le loro voci che viaggiano nella bruma, mischiate a strida di cui preferisce
non immaginare l’origine. Intorno a loro, architetture ritorte incombono. Archi
deformi e scalinate insensate s’alternano a passaggi vertiginosi che conducono
nel vuoto. Rostri di metallo rugginoso trafiggono pareti imbrattate d’umidità
fluorescente, grondaie cadenti stillano fluidi putridi.
Nessuno
si avvicina al punto di sbarrargli la strada, mercante, accattone o puttana che
sia. Forse non ne hanno neppure il tempo dal momento che, malgrado nella sua
mente tutto sembri durare un secolo, Mutio si ritrova presto a fissare
l’acciottolato sconnesso della via principale di Alavar. La vera Alavar, se la verità ha ancora un
senso. Libera dall’ombra, invasa di miseria.
–
Cosa? – chiede qualcuno alle spalle di Mutio. Forse
Axel, non ricorda.
–
Mondo e Inframondo, sovrapposti nel Limbo. – risponde l'Estraneo. – Infettati
dall’Entropia.
Raggiungono
il porto, frastornati. È questo il motivo per cui hanno fatto tappa ad Alavar. Sperano di trovare un’imbarcazione adatta a trasportarli lungo il fiume.
Cercano per i moli e per la darsena. Infine la trovano. Sono tutti ansiosi di
mollare gli ormeggi e lasciare il borgo.
Ad
Alavar non è durato molto, ma hanno visto abbastanza."
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