"L’urto improvviso lo fece trasalire. La
zattera aveva infine raggiunto l’approdo, un molo fatiscente profilato
nell’ombra. Sebastian Arelano sentì il fanciullo mugugnare nel sonno. Stava
acciambellato a poppa, un rotolo di cima incrostata di melma per guanciale. Sussultava
in posizione fetale, il solito fantoccio accanitamente stretto al petto. A
prua, la sua guida (o forse era la loro, se includeva il bambino,
Sebastian non riusciva davvero a schiarirsi la mente) balzò agilmente sul
pontile. Piccola sagoma scura dagli occhi scintillanti, fece biancheggiare il
suo terribile sorriso al suo indirizzo mentre ormeggiava la zattera.
Sebastian
Arelano rispose con un ghigno tremulo sulle labbra livide. Passò oltre con lo
sguardo, fino alla dozzina di occhi materializzatisi nelle tenebre a pochi passi
dall’attracco. Li scrutavano cupidi, famelici, bruciati da una febbre che era
disperazione e pazzia. Ma l’inquisitore non indugiò: proseguì attraverso i
drappi di foschia evanescente che fluttuavano attorno a quegli occhi, risalì le
forme scabre della rupe alle loro spalle. In cima si arrestò.
Forme
nere, stagliate contro il cielo maculato di stelle. Torri e mura dalle finestre
buie, bastioni dai merli sbreccati, guglie spezzate e pinnacoli contorti, un
garbuglio dalle estremità aguzze come di ossa esplose dalle fondamenta della
roccia.
Il
tremito abbandonò le labbra dell’inquisitore e il suo ghigno si affilò come una
lama calcinata. Per un momento lo scollamento dei pensieri riottenne il filo e
Sebastian Arelano poté scorgere il contorno di un disegno coerente. Il
disegno, sul proprio cammino.
In
alto, sulla cima di una torre infestata di ombre, qualcuno osservava
l’osservatore e i suoi compagni di viaggio. Pensava all’odore ammorbante eppur
sensuale del decadimento. Pensava al peso ineffabile delle maledizioni,
all’ineluttabilità della sorte capricciosa. Si domandava se quella zattera avesse
condotto l’illusione della vana speranza o la sentenza dell’ultima strofa. Non
faceva molta differenza, anche questo pensava.
E
intanto col pollice strofinava le ali di un vecchio anello graffiato, simbolo
di lutto e dannazione."