domenica 14 aprile 2019

Buio dentro e buio fuori...

Buio dentro e buio fuori.

Plana in basso, roteando.

Il mondo è un ventre tiepido che lo avvolge.

Niente più suoni: l’eco degli ululati è appena un ricordo che s’attarda nella mente.

Niente più luce: oscurità. Densa, grumi cupi e grumi più cupi, fluttuano in un brodo di tenebra soffice, calda, soffocante.

Niente più luce, niente più…

S’accende d’improvviso un lume nel brodo. Un’aureola argentina.

In mezzo - lui non prova sorpresa - c’è la bambina.

I suoi occhi spalancati, quasi volesse negare d’averli tenuti chiusi.

Troppo a lungo forse l’ha fatto. Senza poter scegliere.

Egli la guarda, ancora una volta.

Pensa all’orizzonte dai contorni sfocati, ai suoi sogni dell’oltre.

Si sente come si sentiva talvolta là, quando la tenebra l’avvolgeva sussurrandogli d’un oblio senza tempo.

Ma c’è la bambina, ora. La sua luce bandisce la tenebra, rinnega l’oblio con ferocia, quasi.

Pretende la sua attenzione, vieta ogni abbandono che sappia di riposo.

Egli sa di non poter riposare, non ancora.

È lì a cercare di capire, se un messaggio ancora esiste.

O a difendersi, se si tratta di una minaccia.

L’eclissi, però, ha rotto gli argini, usurpato il controllo.

Buio dentro e buio fuori.

La luce della bambina erode l’oscurità dell’esterno.

Ma l’Estraneo è ormai prigioniero di quella che lo subissa dentro. 



mercoledì 13 marzo 2019

Carne e sangue...

"Lestat stava molto male. Lontano dalle sue orecchie, Uldrich aveva bisbigliato dei tremori e degli scatti improvvisi che l’avevano afflitto durante la caccia. Per un po’ l’infuso di Axel sembrò giovargli. Ridusse i tremiti e la sudorazione fredda. A detta di Lestat, mitigò anche la nausea. Ma si trattava di un palliativo improvvisato, per produrre il quale Axel si era ingegnato con quel che aveva, facendo appello a una buona dose di immaginazione nel calibrare gli ingredienti. Tutto sommato, i risultati di quel primo esperimento furono discreti. Prima del tramonto, purtroppo, ricominciarono le crisi.

Contrazioni spastiche. Conati che lo costringevano a rigurgitare residui di cibo e succhi gastrici. Sudorazione copiosa, dall’odore acre. Dolori ai muscoli e fitte alle articolazioni. Lestat resistette stoicamente, senza mai lamentarsi. Assorbì gli sguardi preoccupati dei compagni con un sogghigno tetro sulle labbra umide di saliva. Fino a che il giorno non cominciò a morire e Mutio condusse la Heidi nei pressi della sponda, dove attraccare per la notte. Non avevano percorso molta strada dal Cuore d’Altea. La brezza fiacca li aveva sospinti a rilento, poco assistita dalla corrente placida delle acque pressoché stagnanti. Per Lestat, viceversa, il viaggio era stato lungo e tutto in salita.

– Basta! – decretò all’improvviso, sollevandosi in piedi nonostante l’evidente balbettio delle ginocchia. Fece sfilare gli occhi iniettati sui compagni, da quelli intenti a gettare l’ancora, agli altri che ammainavano le vele o semplicemente osservavano la sponda all’imbrunire. Finì per piantarli sull'Estraneo. – Voglio sapere se questo maledetto calvario ha un senso! Esiste una cura per la peste che mi divora? Esiste un motivo per andare in fondo a questo viaggio? Un motivo per me, io voglio sapere, non per te! – Snudò Funerea con rabbia; barcollò, sbilanciato dal movimento goffo. Nel riprendere l’equilibrio, puntò la spada contro il petto dello Shûn. – Per me, non per te, pastore di anime perse. La nostra vittoria, semmai è possibile, mi guarirà dalla malattia? Dimmelo!

Nel silenzio pesante, la risposta dell'Estraneo viaggiò diretta e priva di inflessione: – Non lo so. Esiste l’eventualità che l’infezione dell’Ohra Ni Kahlos sia irreversibile e che noi si possa solo porvi termine, salvando quel che è ancora salvabile.

Funerea tremò e così fecero le parole del conte: – Stai dicendo che, nonostante tutti i sacrifici, io potrei essere un malato terminale? – Di colpo, i suoi lineamenti scavati si accartocciarono in una risata aspra. – È questa la verità, alla fine? –   Rise ancora più forte. – Gli hai ordinato di prepararmi quella tisana solo per rendermi capace di andare avanti con la mente, sperando che il corpo non imputridisca prima? T’interessa che si compia la tua maledetta profezia, con tutti i capri al tuo servizio. Dopodiché, io posso anche andare alla malora…

Abbassò Funerea lungo il fianco. Prima che la punta toccasse le assi della tolda, la scagliò oltre il parapetto. Un tonfo pesante: la bastarda s’inabissò nella melma. Lestat scavalcò il parapetto e affondò fino alle ginocchia nell’acqua della riva. Raggiunse la sponda con passo affaticato. Là si fermò, forse intimorito, forse invece attirato, dalla tenebra che si raccoglieva fra gli alberi.

L'Estraneo scese a sua volta. Si mosse con flemma, immerse un braccio nell’acqua, lo ritirò su. Rivoli torbidi scolarono dalle ametiste dell’elsa e dalla lunga lama. Lestat riprese a muoversi, verso l’ombra.

Lestat de Montreuil!

Il richiamo dell'Estraneo non ebbe niente dell’indolenza dei suoi movimenti, né della neutralità con cui si era espresso pochi attimi prima. Fu una frustata che il conte dovette sentire sulla schiena, giacché si bloccò.

– Te l’ho detto a Château Montreuil e te lo ripeto ora. Non è una scelta quella che hai di fronte, non t’illudere. Il Destino ha deciso, non io. Il Destino ha commissionato la sua profezia all’Oracolo, il Destino ha eletto i capri e il pastore. Il Destino ha persino concesso ai nostri nemici le armi con cui combattere.

Avanzò nell’acqua stagnante. Fece crepitare il pietrisco e le canne dell’argine, non si fermò finché non fu a un passo da Lestat.

– Non ho scelto io di trovarmi qui, –  continuò in tono aspro, – non più di voi.

Gli sbatté Funerea tra le braccia. Lestat ne afferrò l’elsa a crociera, ammiccando alla fanghiglia che l’imbrattava. – Non puoi chiedermi…

– Non te lo sto chiedendo io! Lo capisci o no? Lo capite tutti quanti? – Rivolse uno sguardo di fuoco ai compagni affacciati sulla Heidi. – Non ho deciso di essere qui e non ho deciso che lo siate voi. Se qualcuno vuole maledire a squarciagola l’infame Destino, si faccia avanti. Avrà tutta la mia comprensione. Ma, ve lo dico subito, sprecherà soltanto la voce. – Artigliò il colletto di Lestat con tutte e due le mani e lo strattonò a un palmo dal viso, per ringhiargli in faccia: – C’è un bambino di dieci anni su quella barca. Credi che abbia scelto io di spingerlo nell’abisso? È questo che credi?

Lestat sostenne lo sguardo, ma le sue palpebre tremolarono.

– C’è anche l’uomo che chiami fratello. L’hai convinto ad affrontare i suoi fantasmi per capitolare al cospetto dei tuoi?

Lestat si agitò, l'Estraneo lo lasciò andare.

– Il Destino ci ha collocato qui, come pedine. Lo fa sempre e sempre lo farà. Per riequilibrare i nodi principali del suo ordito, o forse per semplice insensibilità, perché è un demiurgo crudele e annoiato. Ho smesso di chiedermelo. Almeno ci lascia la libertà di combattere per sopravvivere. Forse non esiste una cura per la tua malattia o forse invece mi sbaglio. Però esiste speranza, ancora, altrimenti non saremmo neanche più qui a gridare con i piedi immersi nel fango. Anche questo te l’ho detto a Château Montreuil. Come vedi, finora sono stato uomo di parola.

– Non ce la farò,–  bisbigliò Lestat fra i capelli bianchi che gli ricadevano sul viso chinato, – cadrò prima della fine.

– Lotterai per impedirlo, invece. Tutti lo facciamo, –  il tono sferzante s’infiacchì, – io per primo.

– Tu sei lo Shûn,– le spalle del conte s’afflosciarono e lui piombò in ginocchio con la spada in grembo, come schiacciato da un peso insostenibile, – il mito vivente.

– Io sono ancora carne e sangue. – mormorò lui, sperdendo in quell’ammissione ciò che rimaneva del suo furore. Diede la schiena al conte e si avviò verso il battello. – Rialzati e torna a bordo, –  gli disse senza voltarsi, – ci prepariamo per la notte.

sabato 2 febbraio 2019

Persi nella nebbia...

"La foschia si diffuse repentina, inghiottendo senza distinzione i banchi del mercato, gli strepiti in fondo alla strada e i lampi nel cielo. Inghiottendo la Mezzana che avevano appena attraversato.

Mutio credé di percepire il borgo che mutava nella nebbia. Attraverso il velo viscido, gli sembrò di scorgere la distorsione progressiva delle forme. O forse il passaggio era istantaneo e lui era vittima della suggestione. Quel che contava era che il Mondo era affondato nel Limbo. Strinse entrambe le mani, la destra sul braccio di Mikael, la sinistra sul pugnale sguainato. Cercò l'Estraneo con lo sguardo. E non lo trovò.

– Di là! –   Axel indicò un vicolo che dipartiva dalla piazza. Un’ombra svaniva nella nebbia.

Mutio ed Eusebio lo chiamarono all'unisono. L’ombra non si fermò. Si sciolse nella caligine, come una stilla d’inchiostro.

Mutio chiamò ancora una volta. Quando l’eco della sua voce svanì nella nebbia, lui si voltò a spartire uno sguardo sconcertato con i compagni.

– Se n’è andato. –  fra tutti, fu inaspettatamente Mikael a trovare il coraggio di pronunciare la terribile verità.

– Seguiamolo, presto! – Mutio si tirò appresso il figlio verso il vicolo. Gli altri gli vennero dietro senza obiettare.

Il volto trasfigurato del borgo li colpì con asprezza già dai primi passi. Sin dalla piazza, dove ai banchi del mercato si era sostituita un’incastellatura di legno marcio e metallo ossidato, traboccante di escrescenze frastagliate e rostri ritorti, priva di armonia e di significato. Il selciato intorno era imbrattato da una morchia rossastra simile a sangue coagulato. La struttura emanava un fetore organico d’origine indefinita.

La costeggiarono disgustati per infilarsi nel vicolo in cui avevano visto allontanarsi lo Shûn, un orifizio nell’anello di costruzioni irregolari che abbracciava la piazza. Solcarono banchi di nebbia a tratti meno fitta, a tratti quasi impenetrabile. Mutio avanzava col fiato strozzato e Mikael stretto al fianco. Seguiva le spalle squadrate di Eusebio che si era piazzato davanti a tutti, lasciando Lestat in fondo alla fila a coprire l’avanzata con Funerea in pugno. Axel e Rollo camminavano ai fianchi dell’Alteano.

Cercarono di rintracciare l'Estraneo e trovarono invece l’orrore del villaggio distorto. Fu peggio che ad Alavar, poiché qui brancolavano senza una guida, agnelli in un recinto che puzzava di macello. Il labirinto di vicoli li fagocitò con disarmante rapidità, perdendoli fra edifici grotteschi partoriti dalla fantasia di un architetto squilibrato. Costeggiarono case in bilico su trampoli precari, cancelli spalancati sul nulla invaso di nebbia, scalinate arrampicate sul vuoto. Lungo il tragitto non incontrarono anima né viva né morta, ma udirono molti suoni viaggiare per la nebbia, nessuno rassicurante.

Allorché si arrestarono in una piazzetta fangosa, Mutio udì quello che aveva creduto essere l’eco dei loro passi persistere nella foschia. Riverberò intorno a loro, avvitandosi in una specie di risata chioccia, prima di volatilizzarsi. Un’ombra spiccava in mezzo alla piazza. Vi si avvicinarono con cautela, sperando potesse essere la loro guida o perlomeno un indizio per poterla ritrovare, temendo in pari misura fosse un abitante di quella città da incubo.

Era un cippo di marmo eroso, alto fino al petto. Terminava con un capitello sulla cui cima era stata collocata una clessidra. La sabbia scorreva, dal lobo superiore ancora pieno a quello inferiore semi-vuoto. Era stata appena capovolta.

Mutio si guardò attorno. Altre ombre aleggiavano all’imbocco delle viuzze che si allontanavano dalla piazzetta, o forse si trattava solo della nebbia che li beffava. La sabbia continuava a scorrere nel vetro. Che scopo aveva la clessidra su quel cippo? Chi l’aveva girata? Perché? Simone cominciava a intuire in che misura l’assurdità fosse connaturata in quel luogo. Un’assurdità disturbante.

– L’abbiamo perso. –   dichiarò Eusebio in tono lugubre. – E ci siamo persi anche noi.

sabato 12 gennaio 2019

L'Amore, della carne e del cuore...

"Il ciglio della strada era occupato da una puttana seduta su un barile. Aprì mollemente le gambe al loro passaggio, fece scivolare una mano tra le cosce e spinse in avanti il bacino in un gesto sconcio. Proseguirono oltre lei e la collega che più avanti era al lavoro con un cliente. Consumavano sui gradini di una casa un amplesso condito di mugolii liquidi, quasi stessero annegando nella propria lussuria. Li ignorarono e tanto ricevettero in cambio. A metà della via, una terza prostituta seminuda mormorava fra sé inginocchiata davanti a una finestra. Fu spaventata dal loro arrivo. Si tirò su la gonna a brandelli e zoppicò via sui piedi nudi.

– In questo villaggio ci sono più sgualdrine che pane. – bofonchiò Rollo fermandosi a studiare la finestra. – Speriamo di non essere costretti a mangiarcene una.

La finestra era stata riadattata a mo’ di nicchia. Non aveva più anta. Al suo posto era stata inchiodata un’inferriata, a protezione di un idolo scolpito nel legno. Riproduceva in modo vago tuttavia proporzionato una figura di donna con le gambe divaricate e le braccia incrociate sui seni prosperosi. Una spennellata rossa le evidenziava la fronte, le mammelle e la zona del pube. Moccoli di sego ed escrementi di ratto la corteggiavano sul davanzale.

– Che roba è? – Rollo provò a sfiorare il simulacro di donna attraverso la grata ma il suo dito ricoperto dal guanto era troppo grosso per passarci attraverso. – Uno dei vostri idoli?

– In Altea si venera una pletora di spiriti minori in aggiunta alla cerchia delle divinità principali. – la voce di Mutio era impregnata di una misura tangibile di nostalgia. – Tanti piccoli numi per tanti piccoli aspetti della vita. Gli Alteani sono abituati a invocarli con preghiere e sacrifici, per ottenere una benedizione su questa o quella faccenda.

– E questa qui? – gli domandò Mikael affacciandosi anch’egli sulla nicchia.

– Questa è molto popolare fra quelle che vendono il piacere. Non la vedevo da anni. Ha molti nomi, ma il senso è lo stesso. – Mutio ebbe un sorriso triste. – Personifica l’Amore, della carne e del cuore." 



sabato 8 dicembre 2018

Nascita di una copertina (e tre...)

Prendo spunto dal recente post dedicato da Mario Labieni agli anni di collaborazione spesi a illustrare l'immaginario delle mie saghe, per condividere alcune delle bozze che hanno portato alla definizione della copertina de "L'Eclissi dei Tempi".

Di tutte le illustrazioni realizzate da Mario, questa è senz'altro quella che ha attraversato più fasi intermedie, tra le quali riporto soltanto le più significative. Fin dal principio (e a differenza per esempio della precedente), ho dovuto discriminare fra diversi concept che avevo in mente. Una volta deciso per il panorama della città (Amor) affacciata sul mare, dominata dall'apocalittica eclissi in procinto di compiersi, ho lavorato strettamente con Mario nella definizione di elementi e tonalità, sfumature e dettagli. Convergendo sul risultato definitivo con l'abituale sintonia che ci ha caratterizzato sin dai primi lavori.

Spero piaccia ai lettori almeno quanto è piaciuta a me.






martedì 27 novembre 2018

Dal blu della notte, al blu dell'eclissi

Dietro la penna di ogni romanzo, si può trovare il pennello dell'artista dedicato a realizzarne gli aspetti grafici. Copertina, senz'altro... illustrazioni, personaggi e scenari, ove presenti... Fuori e dentro le pagine delle mie due trilogie si trova quello di Mario Labieni, che di recente ha deciso di dedicare al suo lavoro le belle parole che riporto qui sotto, al compimento di un cammino partito da lontano anche per lui...

"Era il 2007 quando Marco Davide, ingegnere scrittore, mi chiese di dare forma ai suoi personaggi, di realizzare quindi tutto il contest grafico di un magnifico mondo generato dalla sua sconfinata passione per il fantasy ed una sapiente e meticolosa tecnica di racconto.
Nasceva il volto di Lothar Basler, dei suoi compagni e dei loro costumi, dei loro luoghi.
Nasceva un sodalizio tra scrittore ed illustratore ancora oggi vivo e fiero, consacrato dalla comune passione per l’immaginazione.
Un percorso lungo e articolato partito con la casa editrice Armando Curcio e proseguito poi nell’universo degli e-book Delos.
Personaggi, atmosfere e mappe oggi piccole icone di genere, sono il risultato di un confronto che in anni e sei volumi è divenuto visione comune tra narratore e disegnatore.
Da pochi giorni è stata presentata l’ultima opera di Marco, L’Eclissi dei Tempi, il terzo ed ultimo della seconda trilogia chiamata dell’Estraneo.
Un lavoro non meno difficoltoso e lungo dei precedenti in cui ogni piccolo elemento è stato come sempre discusso a fondo prima di essere collocato e presentato, nel rispetto della visione di chi lo ha immaginato, accarezzato dalle mani di chi ne ha curato l’aspetto e preservato il valore.
Ciò che è nato dal blu della notte illuminato dal riflesso di una fredda katana, nel blu finisce, attratto nella falce di un’eclissi devastante.
Si conclude una lunga storia affidata alla carta e alla memoria, si completa la rete di personaggi che amando, soffrendo, scalpitando e combattendo tra le pagine ed i capitoli di queste trilogie, hanno dato a questi anni un valore personale magnifico.
Buona fortuna Marco
Buona fortuna Lothar."


venerdì 16 novembre 2018

Sognava ancora la bambina dai capelli d'argento...

"Sognava ancora la bambina dai capelli d’argento.

Benché il presagio di Fuoco fosse trascorso, testimoniando la sua caduta e la sua riscossa, portando con sé la consapevolezza e soprattutto l’accettazione di quel che il sogno significava, egli aveva continuato a vederla. Non s’assopiva spesso, la condizione di Shûn lo esonerava da una gran parte delle esigenze fisiologiche dei comuni esseri umani. Mangiare, bere, dormire: cedeva occasionalmente ai bisogni, senza mai capire dove arrivasse la reale necessità e dove cominciasse il riflesso condizionato dal suo desiderio di sentirsi ancora umano.

In alcuni di quei casi, egli aveva incontrato la bambina nei suoi sogni. Lei lo fissava con gli occhi finalmente aperti, quegli occhi che raccontavano tutta la verità che c’era da sapere, fra le ciocche splendenti che gli ricordavano la neve. E nel momento in cui egli apriva i suoi di occhi, ridestandosi dal sopore, la scorgeva ancora per qualche istante, davanti a sé, nella transizione effimera fra lo scenario onirico e quello reale.

Cos’è che vuoi farmi sapere ancora? Hai un messaggio ancora per me? Ha a che fare con il presagio d’Acqua, prossimo venturo?

Scrutò i flutti lambiti dallo scafo, quasi potessero schiudersi a comando e rivelargli la forma fluida del futuro che l’aspettava.

– A cos’è che pensi? Agli orrori che ci siamo lasciati alle spalle o a quelli verso i quali ci conduci?

Con la coda dell’occhio, vide Eusebio che si affacciava al basso parapetto del battello, a un passo da lui. Immerso nelle proprie meditazioni, quasi non lo aveva sentito avvicinarsi. Quasi.

– Al presagio d’Acqua. – rispose. Come calice di tormalina versato. – Alla veste in cui comparirà. O alla maschera dietro cui si nasconderà.

– Toccherà a qualcuno di noi, vero? – Eusebio tradì tensione nel suo accento straniero. – I Sacrificati. È toccato a Lestat, per primo, e poi a me. Chi sarà il prossimo?

Egli lo osservò in tralice. Di profilo, il naso schiacciato dell’ex-gladiatore era una prosecuzione verticale della fronte spaziosa. Gli occhi celesti catturavano il riflesso della luce quanto le acque su cui erano posati. La bocca era una ferita sottile, perpendicolare alla cicatrice sulla mascella squadrata. 

– Non lo so. –  Dopo un attimo: – Cos’è che ti turba?

Eusebio roteò gli occhi pallidi su di lui. – Mi hai spinto ad accettare questa storia e il posto che mi obbliga a occupare. L’ho fatto, rinnegando tutti i precetti che credevo incrollabili. Ma vorrei saperne di più. Come Sacrificato, ho adempiuto il mio dovere secondo i versi della profezia. Ti ho tirato via dalle grinfie di quel demone puttana, la Vedova Nera. Dico bene?

– Hai compartecipato al presagio di Fuoco, come annunciato dall’Oracolo. E mi hai permesso di percorrere un passo fondamentale nella direzione della meta.

– E adesso? – sbottò il chierico. – Quale altro compito mi spetta? Hai gli altri tuoi Sacrificati per adempiere la profezia.

– Il nostro compito sarà concluso solo al termine del viaggio. Il mio e il vostro.

– Come?

– Hai seguito il tuo vecchio maestro senza fare domande. Ora ti chiedo di avere fiducia in me.

Eusebio rise amaro. – Il precedente non ha avuto un esito felice. – Si portò una mano al collo, dove un tempo aveva indossato la croce a otto braccia della Chiesa di Caeres. Deformata dal fuoco stregato con cui Sebastian Arelano aveva cercato di ucciderlo a Château Montreuil, il pendaglio era finito nell’occhio della Vedova Nera quando Eusebio si era difeso dall’attacco del vampiro. – Ho perso il simbolo conferitomi dal mio vecchio maestro e ho gettato alle fiamme quello che gli ho strappato di mano prima di distruggerlo.

Egli si voltò a fronteggiarlo. Gli posò una mano sulla spalla; il chierico non riuscì a trattenere un brivido. – Non ho simboli da affibbiarti, Eusebio. Ti chiedo fiducia e ti ricordo che, da quando ho cominciato a farlo, io non l’ho mai tradita. Non ti ho mai mentito e non ho intenzione di farlo. Le verità che tengo per me sono il frutto di una scelta ponderata, di un cammino che ha un disperato bisogno dei suoi passi, uno per volta. Hai seguito il tuo vecchio maestro senza remore,–  ripeté, – ora fallo con me.

– Ho seguito il Priore per amore della mia fede. –  disse lui in un sussurro.

– Te l’ho già detto a Irstrak, Eusebio: non rinunciare alla tua fede in questo viaggio. – le labbra dell'Estraneo s’incurvarono in un mezzo sorriso. – Ne avrai bisogno ancora, prima della fine."