Non era un semplice presidio distrutto,
raso al suolo nella maggior parte degli edifici di pietra e fumigante in quel
poco che ancora resisteva in piedi, lentamente consumato dalle ultime,
pervicaci vampe dei roghi ancora caldi. C’erano cadaveri ovunque, sparsi per la
valle incrostata di ghiaccio e lingue di neve vecchia. A quella distanza, nella
luce debole del giorno morente, non era possibile distinguere le ferite, ma la
disposizione caotica con cui erano accasciati palesava gli indizi della lotta.
C’erano cadaveri ovunque e ce n’erano nella grossa buca scavata oltre il
perimetro recintato del presidio, circondata da enormi mucchi di legna
carbonizzata. All’inizio il Primo Generale pensò a una fossa comune che le pale
avevano avuto modo di ricoprire solo in parte. Poi, studiando meglio il terreno
malamente dissodato e i mucchi di terra e pietrisco gettati senza criterio ai
suoi lati, si rese conto che la fossa era stata piuttosto riaperta. Stava
domandandosi chi mai, per la grazia degli dèi, avesse avuto in animo di
perpetrare una simile profanazione, quando l’esclamazione turbata di uno dei
suoi esploratori lo spinse a volgere l’attenzione verso il centro del presidio,
dove spiccavano le pareti annerite ma ancora intatte della caserma principale.
Lo stendardo bianco-verde di Saëgata sbatteva flaccido su ciò che rimaneva
della torre di guardia, schiaffeggiato dalle folate gelide che spiravano per la
gola. Ai suoi piedi, immersi in una pozza di tenebra foderata di neve sporca,
stavano dozzine di corpi accatastati.
L’esploratore che aveva esclamato studiava
a bocca aperta la torre attraverso un cannocchiale foderato di cuoio. Rudger
glielo strappò letteralmente di mano, in uno scatto di nervosismo. Puntò lo
strumento alla base della fortificazione e subito l’irritazione defluì insieme
al sangue dal suo cervello.
Non erano cataste di cadaveri. Erano cataste
di pezzi di cadaveri. Pile di teste, cumuli di membra. Rudger scandagliò
di nuovo il vallone e vide quello che la distanza sulle prime gli aveva negato:
i corpi erano quasi tutti mutilati, privati di parti del corpo o ferocemente
dilaniati. Tornò a esaminare la fossa scoperta. Laggiù i cadaveri erano nudi e
oltremodo rinsecchiti, ma almeno erano ancora interi.
–
Sangue di Volkos… – A imprecare fu il comandante dei Lupi Grigi che, rimediato
anch’egli un cannocchiale, aveva appena terminato di contemplare il suo stesso
spettacolo. – Che pandemonio è mai accaduto, mio sire?
Rudger abbassò il cannocchiale. Il cielo
violetto dell’imbrunire proiettava la sua immane ombra a guisa di pietoso
sudario sulla valle. La notte allungava le falangi di ghiaccio a carezzarli
sullo sperone di roccia proteso sulla mattanza; là sulla Cordigliera, la
primavera era poco più d’una illusione, una promessa ancora difficile da
mantenere. Rudger rabbrividì sotto la corazza. Udì gli uomini borbottare
agitati. Persino i Lupi Grigi, orgoglio e vanto di Kaisersburg, faticavano a
nascondere l’inquietudine. Il Primo Generale non li biasimava, poiché ne
condivideva il raccapriccio.
Poi emersero dalle ombre. Da soli o in
piccoli gruppi. Forme nere partorite dal ventre devastato del presidio. Alcune
strisciavano appesantite dal fardello dei propri corpi contorti, altre
avanzavano spedite scivolando sulla sassaia cosparsa di morti. Nude o
abbigliate di stracci. Parecchie indossavano ornamenti macabri strappati dalle
carni stesse dei cadaveri.
Rudger si concesse un solo istante di puro ribrezzo. – Uomini! – abbaiò quello seguente snudando la spada. – Alle armi!"
(Da Il Richiamo del Crepuscolo - Trilogia dell'Estraneo (vol.1))