sabato 2 febbraio 2019

Persi nella nebbia...

"La foschia si diffuse repentina, inghiottendo senza distinzione i banchi del mercato, gli strepiti in fondo alla strada e i lampi nel cielo. Inghiottendo la Mezzana che avevano appena attraversato.

Mutio credé di percepire il borgo che mutava nella nebbia. Attraverso il velo viscido, gli sembrò di scorgere la distorsione progressiva delle forme. O forse il passaggio era istantaneo e lui era vittima della suggestione. Quel che contava era che il Mondo era affondato nel Limbo. Strinse entrambe le mani, la destra sul braccio di Mikael, la sinistra sul pugnale sguainato. Cercò l'Estraneo con lo sguardo. E non lo trovò.

– Di là! –   Axel indicò un vicolo che dipartiva dalla piazza. Un’ombra svaniva nella nebbia.

Mutio ed Eusebio lo chiamarono all'unisono. L’ombra non si fermò. Si sciolse nella caligine, come una stilla d’inchiostro.

Mutio chiamò ancora una volta. Quando l’eco della sua voce svanì nella nebbia, lui si voltò a spartire uno sguardo sconcertato con i compagni.

– Se n’è andato. –  fra tutti, fu inaspettatamente Mikael a trovare il coraggio di pronunciare la terribile verità.

– Seguiamolo, presto! – Mutio si tirò appresso il figlio verso il vicolo. Gli altri gli vennero dietro senza obiettare.

Il volto trasfigurato del borgo li colpì con asprezza già dai primi passi. Sin dalla piazza, dove ai banchi del mercato si era sostituita un’incastellatura di legno marcio e metallo ossidato, traboccante di escrescenze frastagliate e rostri ritorti, priva di armonia e di significato. Il selciato intorno era imbrattato da una morchia rossastra simile a sangue coagulato. La struttura emanava un fetore organico d’origine indefinita.

La costeggiarono disgustati per infilarsi nel vicolo in cui avevano visto allontanarsi lo Shûn, un orifizio nell’anello di costruzioni irregolari che abbracciava la piazza. Solcarono banchi di nebbia a tratti meno fitta, a tratti quasi impenetrabile. Mutio avanzava col fiato strozzato e Mikael stretto al fianco. Seguiva le spalle squadrate di Eusebio che si era piazzato davanti a tutti, lasciando Lestat in fondo alla fila a coprire l’avanzata con Funerea in pugno. Axel e Rollo camminavano ai fianchi dell’Alteano.

Cercarono di rintracciare l'Estraneo e trovarono invece l’orrore del villaggio distorto. Fu peggio che ad Alavar, poiché qui brancolavano senza una guida, agnelli in un recinto che puzzava di macello. Il labirinto di vicoli li fagocitò con disarmante rapidità, perdendoli fra edifici grotteschi partoriti dalla fantasia di un architetto squilibrato. Costeggiarono case in bilico su trampoli precari, cancelli spalancati sul nulla invaso di nebbia, scalinate arrampicate sul vuoto. Lungo il tragitto non incontrarono anima né viva né morta, ma udirono molti suoni viaggiare per la nebbia, nessuno rassicurante.

Allorché si arrestarono in una piazzetta fangosa, Mutio udì quello che aveva creduto essere l’eco dei loro passi persistere nella foschia. Riverberò intorno a loro, avvitandosi in una specie di risata chioccia, prima di volatilizzarsi. Un’ombra spiccava in mezzo alla piazza. Vi si avvicinarono con cautela, sperando potesse essere la loro guida o perlomeno un indizio per poterla ritrovare, temendo in pari misura fosse un abitante di quella città da incubo.

Era un cippo di marmo eroso, alto fino al petto. Terminava con un capitello sulla cui cima era stata collocata una clessidra. La sabbia scorreva, dal lobo superiore ancora pieno a quello inferiore semi-vuoto. Era stata appena capovolta.

Mutio si guardò attorno. Altre ombre aleggiavano all’imbocco delle viuzze che si allontanavano dalla piazzetta, o forse si trattava solo della nebbia che li beffava. La sabbia continuava a scorrere nel vetro. Che scopo aveva la clessidra su quel cippo? Chi l’aveva girata? Perché? Simone cominciava a intuire in che misura l’assurdità fosse connaturata in quel luogo. Un’assurdità disturbante.

– L’abbiamo perso. –   dichiarò Eusebio in tono lugubre. – E ci siamo persi anche noi.