giovedì 22 dicembre 2016

Al mutar della stagione, come faville credute spente sotto le braci...

"L‘inverno giunse dal nord ammantato di vento e con l’alito di ghiaccio. Discese dalle lande candide di neve del settentrione col passo sicuro e cadenzato del pellegrino cui sia ben nota la strada, di chi innumerevoli volte ne abbia calcato il percorso. Venne annunciato, vigoroso dinanzi agli spasmi terminali dell’autunno morente, implacabile nella certezza del suo tempo rinnovato.

Stese il suo rigido mantello sui tetti dell’orgogliosa Kaisersburg, strinse nel gelido abbraccio gli stendardi vermigli sulle mura di Volturnia. Passò, ombra diafana di pioggia e tempesta, a soffiare il suo spirito contro i bastioni dell’austera Gavanin, tra i vicoli tetri dei suoi quartieri militari. Cavalcò, su frangenti di nuvole e vento, sulle cupole e sui pinnacoli dorati di Jemi la Splendida, fischiò sul mare schiumante oltre i suoi lidi frastagliati, sino a raggiungere i pontili fatiscenti e le strade ricche di miseria della decadente Saëgata.

Calò, sudario impalpabile di caligine e brina, sulle guglie sempreverdi di Ebor. Discese tra le case di Lum, lacerando col suo staffile di vento il velo esangue sul suo volto di pietra. Proseguì al di là dei crinali innevati della Cordigliera, invase le contrade tristi e desolate di Altea, s’insinuò tra le spoglie sbriciolate dalle epoche della malinconica Amor, tra i canali luridi e melmosi della moribonda Veron.

Venne dal nord, porgendo il suo immutato saluto, la sua eterna sembianza, sfiorando le terre del continente con una carezza da sempre nota.

Nelle campagne, i contadini rabbrividivano avvolti nei mantelli di lana, rimpiangendo gli ultimi dolci mesi d’autunno. Sulla soglia delle proprie abitazioni, osservavano il cielo terso ricoprirsi di nubi gravide e rievocavano le settimane recenti, la vendemmia e la semina dei campi ora placcati di brina. La legna già era stata raccolta e attendeva le fiamme del camino accatastata in cantina o nei granai. I maiali ormai grassi razzolavano pigri e beati nei recinti, sazi delle ghiande ingurgitate con foga nei giorni passati, ignari dei festeggiamenti per i quali erano stati preparati: tra breve sarebbero stati appesi a un palo per le zampe posteriori, la loro gola sarebbe stata squarciata, il loro sangue raccolto e le loro carni arrostite. I fattori fissavano rapiti la magia del loro fiato fumigante nell’aria rigida del crepuscolo. Riflettevano sui lunghi giorni che avrebbero trascorso seduti dinanzi al focolare, a scrutare tra le braci il destino che li avrebbe spinti, in primavera, a tornare ai campi con le zappe in mano. Non l’ignoranza, né la prosaica attitudine che gli era tipica di concedere poco spazio ai sentimenti, impediva ai loro cuori di fremere d’un fugace palpito di nostalgia nel rammentare i raggi tiepidi dell’ultimo sole d’autunno che pochi giorni prima aveva benedetto, rosso e dorato, i volti dei loro figli.

Nelle città, all’interno delle mura incoronate di merli, la vita si protraeva monotona. L’inverno avrebbe ridotto l’afflusso dei pellegrini accrescendo l’impraticabilità delle vie di comunicazione. Molti meno viandanti sarebbero giunti a bussare ai portali col loro bagaglio di bisacce e di storie da taverna. I gendarmi avrebbero trascorso interminabili ore di noia e freddo a battere i denti nella logorante attesa del cambio della guardia. Nelle abitazioni, nelle botteghe, in mezzo ai tavoli delle osterie, la gente si sarebbe stretta in un abbraccio reciproco, all’inconscia ricerca di una fonte d’umano calore. Avrebbe fronteggiato pioggia e vento, lavorando alacremente e chiacchierando e raccontando storie di banale realtà e assurda fantasia, le mani intirizzite nei guanti e gli occhi smarriti nella vampa dei camini. In qualsiasi stagione, le città restavano sorgenti e amplificatori di vicende, fulcro di raccolta e smistamento di notizie. Una girandola di voci si rincorreva per le strade, sebbene la maggior parte di esse altro non fosse che il coro insistito e variegato dell’unica Voce: quella che volava di bocca in bocca tra i banchi del mercato, in mezzo ai vicoli e ai pontili, da un tavolo all’altro delle taverne, in ogni angolo - fosse splendido e sontuoso oppure buio e inzaccherato - delle città.

Guerra.

Le truppe radunate alla base dei torrioni e nei distretti militari, mercenari stranieri e soldati con le insegne dei Principati: ormai tutti avevano visto le schiere accampate fuori dalle città o in marcia per le campagne. Quella che fino a poche settimane prima era sembrata una delle tante dicerie in volo per le strade si era rivelata in tutta la sua concretezza. A occidente, oltre l’oceano, in terre di cui pochi sapevano davvero qualcosa, se non certi eruditi oppure gli abitanti della costa che avevano conosciuto mercanti e viaggiatori giunti dall’altra sponda del mare, a ovest si combatteva un conflitto sanguinoso. E i Principati si preparavano a intervenire. Dopo aver adunato parte dei contingenti regolari nei maggiori porti marittimi, avevano divulgato numerosi bandi di reclutamento per accrescerne i ranghi. In molti si erano arruolati, barbari dagli occhi grigi venuti dal nord, Alteani dalla pelle abbronzata e i capelli mori, assieme a una congerie di umanità della più disparata specie per lo più insoddisfatta della vita, alla ricerca di avventura, di guadagno, di un senso autentico e disperato per la propria esistenza; briganti e galeotti, in alcuni casi tutt’altro che infrequenti, braccati dalle autorità, bramosi di libertà e di chissà quali vagheggiati bottini.

Affacciati alle finestre luminose dei loro opulenti palazzi, i nobili osservavano con distacco l’animosità febbrile che contagiava gli spiriti della plebe raccolta promiscuamente tra i rioni impestati di tanfo e rumore. Carezzati dal tocco soffice della seta e dello sciamito, vegliavano con pigra indifferenza sulle sorti misere del popolo, invidiando tuttavia nel nucleo recondito del proprio cuore il colore e l’incredibile gamma di sfumature di cui l’esistenza stentata di quegli uomini riusciva comunque a dare sfoggio. Attraversavano corridoi nell’eco solitario dei loro passi, camminavano annoiati sotto loggiati deserti, intorno a giardini attanagliati dal gelo. Si interrogavano distrattamente sull’insoddisfazione del proprio cuore, del proprio spirito ingabbiato nell’oro e nello sfarzo, incapaci ormai d’animarsi di pulsioni improvvise se non in momenti sempre più rari e preziosi. Ma si trattava di riflessioni fugaci: presto la mente ritrovava morale e si concentrava sul pensiero del prossimo banchetto, della prossima notte di lussuria in compagnia di una nuova cortigiana dalle giovani forme. Guardavano il cielo gonfio di vento e meditavano sull’avvento della prossima primavera, allorché avrebbero potuto cavalcare tra i boschi con il proprio seguito di cavalieri e scudieri, con la muta di segugi affamati attorno e il falcone incappucciato sul braccio, a caccia di volpi, cervi e cinghiali. Allora tornavano a sorridere, dimentichi di ogni cupa riflessione.

L’inverno recava la fine dell’anno e con essa un periodo di fervore religioso. Era questo il tempo delle investiture per gli adepti di Volkos, l’ardimentoso Dio della Guerra. All’interno delle ombrose navate delle sue cattedrali fortificate, intrise dell’aroma dell’incenso e del sapore dell’acciaio, i novizi dell’ordine di monaci guerrieri recitavano genuflessi i cori delle litanie d’iniziazione. Porgevano le proprie spade e i propri scudi ai piedi degli altari di ferro, pregando il dio affinché li benedicesse. Col capo prostrato dall’emozione e dal rispetto, lasciavano che i confratelli superiori tracciassero il venerabile simbolo della spada sulle loro spalle. Allora erano infine pronti a vestire il mantello cremisi, icona secolare del sangue eroico e battagliero di Volkos, che li avrebbe accompagnati in combattimento fugando ogni sentimento di codardia dai loro cuori.

Nelle campagne e nei villaggi lontani dalle città, i chierici verde vestiti di Fenice portavano la benedizione dell’Albero Sacro tra le genti. Esortavano i fedeli a celebrare i riti e i sacrifici prescritti per beneaugurarsi il sorriso radioso della dea in vista del nuovo anno. Intere comunità si univano a loro per pregare Fenice sul greto dei ruscelli e sulla cima dei poggi battuti dal vento o inzuppati dalla pioggia. Poiché anche l’inverno, catechizzavano i chierici, era figlio della Grande Madre e fratello delle altre stagioni. Al calar del sole, alti falò punteggiavano le piazze dei borghi e i cortili delle fattorie. La gente vi si raccoglieva intorno gettando tra le fiamme la sterpaglia e le erbacce sradicate dai campi e dagli orti. Le osservavano accartocciarsi tra le vampe; levavano una preghiera alla Grande Madre affinché un giorno quello che l’inverno aveva fatto tacere potesse risorgere a nuova vita. I duri mesi a venire avrebbero offerto tempo per i salmi e le riflessioni nell’attesa del momento in cui Fenice sarebbe discesa ancora tra gli uomini sotto braccio alla primavera, per celebrarne il nuovo sposalizio con la terra.

Nelle Città Stato dei Principati avevano inizio i laboriosi addobbi dei templi di Yor, il Grande Fratello e Signore di tutti gli dèi, assiso sul Suo trono di fuoco tra le stelle del cielo. L’ultimo giorno dell’anno, il trentunesimo del dodicesimo mese, il Sommo Sacerdote in persona avrebbe aperto i portali del maestoso tempio a Kaisersburg, mentre i devoti patriarchi dell’Ordine lo avrebbero imitato a Volturnia, Gavanin, Jemi, Saëgata e Lum. Sopra un carro adorno di velluto e oro, avrebbe attraversato la città, conducendo tra le case l’emblema sacro del Disco Solare. Accompagnato dai chierici dalla candida tonaca e dai cavalieri devoti vestiti a cerimonia, avrebbe guidato la processione nei quartieri di Kaisersburg per invocare la grazia del dio sulle genti festanti. Il principe con tutta la corte lo avrebbe seguito scortato dalla guardia personale e presto il corteo si sarebbe ingrossato, mano a mano che i cittadini si fossero accodati per intonare i salmi tradizionali. Per tre volte avrebbero percorso il perimetro esterno delle mura, fino a quando, al tramonto, il Sommo Sacerdote non avesse ricondotto i fedeli al tempio per pronunciare la benedizione formale. Quando il sole fosse calato oltre il mare, sarebbero cominciati i festeggiamenti. Si sarebbero protratti per i quattro giorni seguenti, con giochi, tornei, spettacoli e banchetti sulle piazze e fuori le mura.

Nei pressi dei cimiteri le campane delle chiese di Moors battevano il loro sordo rintocco, unica voce nei templi lugubri e silenziosi. Il sopraggiungere dell’inverno e la fine dell’anno non venivano in alcun modo celebrati dai chierici rasati del Dio della Morte: autunno o inverno, estate o primavera, l’Eterno Mietitore sempre passava per le case e sotto i ponti, tra colline e foreste, ignaro dello scorrere delle stagioni, perpetuo e implacabile nelle sue incombenze. I suoi accoliti impaludati di nero si raccoglievano in pacata preghiera sui banchi di pietra dei santuari e conducevano le liturgie funebri durante le tumulazioni senza preoccuparsi del freddo o dell’arsura.

Mentre i culti ufficiali si preparava a celebrare l’anno nuovo tramite rituali vecchi di secoli, molte erano le persone che, pregando l’uno o l’altro dio, si lasciavano andare a oscure invocazioni o insoliti gesti arcani. Grave era il fardello dell’ignoranza che appesantiva la maggior parte delle genti e ancor di più quello della paura che adombrava i cuori: paura di un mondo in gran parte sconosciuto, paura di un destino misterioso e troppo spesso infausto, paura di una vita legata in tutti i suoi aspetti al filo sottile della speranza. La notte, quando il vento gemeva contro le finestre e le ombre ingoiavano il mondo tra le loro pieghe impenetrabili, molti erano quelli che ricorrevano ad ancestrali gesti propiziatori per esorcizzare i timori e dar sollievo all’animo oppresso delle angosce e dagli interrogativi. Al cospetto dei falò in onore di Fenice, più di un devoto gettava tra le fiamme un piccolo fantoccio di paglia e tela, secondo un’usanza troppo remota perché potesse trovarsi annotata nella regola canonica di uno qualsiasi dei culti ufficiali. Curiose composizioni di ramoscelli e steli di grano campeggiavano sulla soglia delle abitazioni di campagna, rozzi simulacri patrimonio di culture e credenze annegate nell’oblio del tempo. Erano solo alcune delle infinite piccole scaramanzie professate da una civiltà afflitta da mille incertezze sul presente e sul futuro, troppe perché bastasse una pomposa processione cittadina o la predica compassata di un chierico per bandirle. Il simbolismo ieratico che impregnava la vita di ciascuno spesso perdeva i propri connotati definiti e codificati, nell’impossibilità di spazzare via tutte le ombre che assediavano i passi dell’esistenza. Si faceva vago e talvolta contorto, facile preda dell’ansia e dei sentimenti più morbosi. Tra i più arditi e maliziosi c’era persino chi, nel buio umido di una cantina, nel cuore di un bosco allagato di bruma o nei recessi del proprio palazzo, salmodiava litanie oscure. Invocavano entità misteriose, intonavano versi antichi quanto le montagne, retaggio blasfemo e degenerato sopravvissuto alla mola dei secoli.


L’inverno rivestiva la terra e le case di una cappa di gelo cristallino. Assopiva il continente e le città. Ma, sotto la coltre di pioggia e neve, sotto il freddo, gli animi umani crepitavano di vita e di emozioni, come faville credute spente sotto le braci..."



sabato 17 dicembre 2016

Meet the Characters - Eusebio

Rassettando un po' di materiale nel cassetto, mi sono ritrovato tra le mani alcuni disegni relativi alle mie opere. Alcuni sono miei, lavori senza alcuna pretesa artistica realizzati spesso su carta a caso con mozziconi di matita giusto per conferire un'immagine a quello che avevo in testa; altri sono opera altrui, ma il tema è lo stesso, ovvero per lo più l'abbozzo di qualche personaggio.

Ho pensato di postarne qualcuno, accomunandovi un passaggio narrativo. Procedendo in senso inverso alle pubblicazioni, parto con uno dei protagonisti de "Il Richiamo del Crepuscolo", ovvero Eusebio 'EVX' da Frennes.

.....

Non esisteva un momento esatto in cui poteva accadere. Più che una reminiscenza stimolata da qualcosa - un dettaglio osservato, un odore percepito, un suono udito - era un riflusso rimestato dal pozzo torbido della memoria. Gli accadeva al mattino appena svegliato o alla sera, quando giaceva nell’anticamera spesso tormentata del sonno. Gli accadeva da solo o fra la gente. Talvolta, gli accadeva perfino mentre era immerso nella meditazione della preghiera. Come adesso. L’irritazione che provava in quei casi contro se stesso non serviva a conservare la concentrazione nel suo intimo dialogo con Dio.

Sciolse le dita intrecciate in grembo con le orecchie vibranti dell’eco di un clamore fantasma. Urla e applausi, imprecazioni e versi selvaggi amplificati dalle migliaia di gole schierate tutto attorno. Un’ondata fisica che premeva sulla pelle, disarticolata e altalenante, resa omogenea soltanto dalla forza del getto incessante. E nella ridda di fragori brutali, esplodeva come un bolo d’aria compressa il suo nome di battaglia.

Eux, Eux…

Il rullo di un tamburo, il motivo ossessivo di un inno cupo.

Eux, Eux, Eux…

Si portò le mani davanti al viso. Il dorso ruvido era un campo di cicatrici attorcigliate. Una gli serpeggiava biancastra sulla sinistra, dal polso fino alla base del mignolo, dove il colpo che gliela aveva inferta aveva distrutto il tendine riducendogli il dito a un’estremità rattrappita di cui non aveva più controllo. Nei pressi, il profilo di due nocche adiacenti non era più visibile a causa delle ripetute fratture che gliele avevano sbriciolate. Stessa sorte era toccata a più della metà delle giunture della mano destra, martoriata dai colpi vibrati prima ancora che da quelli subiti. Quando il clima mutava, quando l’aria s’appesantiva d’ozono e l’umidità colmava gli spazi, il dolore era una sfilza di ganasce che gli mordevano il corpo. Le mani, le ginocchia, il collo, la testa. Le vecchie ferite gli bruciavano ovunque, le articolazioni si riempivano di vetro macinato e la carne s’incendiava. Ma non ci faceva ormai più tanto caso. Era abituato al dolore, da quando era nato. Stringeva un poco più i denti, indurendo la maschera perennemente tesa del volto, e tirava avanti. Allorché le voci fantasma gli rimbombavano nelle orecchie, tuttavia, qualsiasi cosa stesse facendo, Eusebio si fermava a ricordare.

Eux, Eux…

Era incredibile la vividezza con cui riusciva a rievocare le sensazioni: la carezza viscosa del sudore misto a sangue che gli cola sulla pelle, la raffica degli schiamazzi sugli spalti, la terra sotto ai piedi, ora soffice di sabbia, ora più spoglia e dura, sovente viscida di fluidi spillati. E il suo respiro, ritmo della vita che lotta per preservare. Dapprima regolare, poi rotto dall’affanno e dalle fitte lancinanti. Il ritmo del fiato che esala tra i denti, fulcro primario della sua concentrazione. Batte il tempo di ogni movimento, scandisce il fluire del sangue nelle vene. In qualsiasi circostanza egli si trovi, torreggiante sull’avversario ormai esanime o prostrato nell’angolo cieco dei troppi colpi incassati, è il ritmo del respiro l’ultima briglia su cui deve mollare la presa. Così gli è stato insegnato. La sanzione del vantaggio e la speranza del capovolgimento di fronte, entrambe le facce della moneta passano per il fischio cadenzato che riesce a incanalare tra la gola e il palato.

Non esisteva un momento esatto in cui si metteva a ricordare, ma c’era un giorno preciso a cui più spesso finiva per tornare. Mai come allora s’era aggrappato a quella lezione preziosa. Ma mai come allora gli era stato difficile onorarla, col naso distrutto e ricolmo di sangue e cartilagini frantumate che parevano volergli scendere nella gola ogni volta che provava a respirare. Ricordava il verso lugubre dei gabbiani che si spingevano sin lì dal porto, attratti dalla speranza d’un banchetto diverso dal solito, e il ruggito invasato degli spalti ridotto a un riverbero ovattato dal ronzio che gli trapanava le orecchie. Ululavano assettati di sangue, affatto sazi di quello che già intrideva l’arena rischiando di farlo scivolare mentre muoveva passi sbilenchi sul ginocchio slogato. Ricordava come una sensazione estranea la pressione del braccio sinistro che teneva schiacciato al busto per proteggere il costato fratturato. Ciondolava dilaniato dalle fitte, un occhio accecato dal sangue e intarsiato da una raggiera di lacerazioni.

E il suo primo pensiero, come sempre, era stato: respira, regola il respiro, respira, regola il respiro…





venerdì 9 dicembre 2016

Regalare un e-book

Con l'avvicinarsi del Natale, in molti sono venuti a chiedermi in che maniera fosse possibile regalare i miei romanzi in versione digitale.

Riporto a beneficio degli interessati un paio di link che spiegano bene i perché e i percome:

In sintesi, tutto dipende dal formato che si intende regalare e dalla piattaforma da cui si vuole eseguire l'acquisto. Le soluzioni per il formato .epub sono molteplici (attraverso IBS, Book Republic, Ultima Books, Mondadori Store, etc.), mentre per il formato .mobi (quello del kindle) per motivi a me imperscrutabili Amazon consente attualmente  il regalo diretto soltanto attraverso il dominio .com ma non attraverso quello .it (tramite il quale è comunque sempre possibile acquistare un buono, cui toccherà poi al beneficiario tradurre nell'acquisto del/degli ebook).

Un'ulteriore soluzione è passare per l'e-store dell'editore Delos. In questo caso è possibile selezionare il formato preferito, scaricare l'ebook e poi inviarlo a chi si vuole. Infatti, per propria politica editoriale Delos sceglie di non imporre ai propri ebook protezioni dalla copia basati su criptazione. In poche parole, la copia acquistata risulta leggibile anche spostandola su un qualsiasi altro dispositivo (pc, lettore ebook, tablet, smartphone, etc.). Ovviamente, là dove gli ebook Delos vengono venduti non direttamente ma attraverso altre piattaforme di e-commerce, essi devono sottostare alla politica di protezione di queste ultime (es. Amazon cripta i miei romanzi acquistati da lì).

L'aspetto della protezione dei file risulta rilevante anche nel caso in cui si voglia convertire il formato (ed es. si vuole fare un regalo tramite un e-store che lo consente solo in formato .epub, quando si sa che il beneficiario possiede un kindle che dunque legge in formato .mobi). La conversione in sé è piuttosto semplice, eseguibile con diverse applicazioni gratuite (la più famosa che uso anche personalmente è Calibre) ma funziona solo se il file non è protetto o è sottoposto al solo Social DRM (o Watermarking), che è in sostanza una filigrana digitale che associa la copia all'acquirente senza tuttavia limitarne in alcun modo l'utilizzo o la copia. Book Republic e Ultima Books ad esempio applicano solo il Social DRM/Watermarking ai miei romanzi, dunque pur scaricandoli in .epub è possibile tradurli in qualsiasi altro formato supportato dal lettore di chi riceve il regalo.

Insomma, conviene informarsi prima, ma una volta fatto la procedura è piuttosto semplice. Se avete domande o bisogno di chiarimenti puntuali, contattatemi pure.

Buoni acquisti! :)





martedì 29 novembre 2016

Nascita di una copertina

Come sa bene chi mi segue da un po', Mario Labieni non è soltanto l'autore delle copertine della 'Trilogia di Lothar Basler', ma anche di tante immagini che ne illustrano il mondo e i personaggi. E' stata dunque del tutto naturale la scelta da parte mia di coinvolgerlo anche nel lavoro grafico relativo alla 'Trilogia dell'Estraneo', che della precedente raccoglie l'eredità. Ho chiesto a Mario di raccontarmi com'è stato tornare dalle parti dei Principati e, in particolare, per quali fasi è passata la genesi della copertina de "Il Richiamo del Crepuscolo."
La parola all'artista...

Il Progetto

Quando mi propongono un lavoro grafico, soprattutto nel campo dell’illustrazione editoriale, la prima cosa che faccio, la più importante dopo aver parlato dei contenuti del volume, è la definizione degli elementi chiave da realizzare e della sensazione che lo scrittore vuole dare al futuro lettore.
Colloquiare con l’autore infatti, e/o con il responsabile dell’ufficio creativo della casa editrice, è un passaggio fondamentale per raggiungere un risultato coerente con i contenuti ed esteticamente accattivante.
Quando Marco Davide mi ha contattato per realizzare le copertine di questa nuova storia ho ripensato subito al trascorso che ci aveva visti impegnati nelle altre sue opere, al volto che abbiamo dato ai suoi personaggi, allo stile estetico che da quel giorno rappresenta la sua trilogia.
Abbiamo quindi concordato metodi e tempi, abbiamo ripreso il timone e ci siamo rimessi in viaggio.
Un nuovo importante progetto per cui Marco come sempre mi ha dato carta bianca riguardo la tecnica, e un buon anticipo di tempo per organizzarmi al meglio.
Mi ha fornito esempi, sintesi di contenuti, spesso anche schizzi personali di soggetti e mappe molto dettagliate, il suo mondo, il suo stile.
Questo significa interagire con l’autore.
Gli scambi che ogni volta intercorrono tra me e lui sono frequenti perché frequenti sono gli aggiornamenti e le modifiche, le idee che fioriscono durante la lavorazione.
D’altronde cogliere subito la visione precisa dello scrittore è impossibile, ognuno di noi ha un modo profondamente personale di vedere le cose, io stesso con i miei lavori non sono mai soddisfatto al primo colpo.

Ma come si procede nella realizzazione di una copertina digitale?

Realizzare una cover editoriale in digitale non è molto diverso dal farne una cartacea…per chi sa cosa deve fare, ovvio!
Lo spazio del “foglio” è lo stesso, al posto della matita o del pennello però si usa una penna digitale o il mouse.
Certo un software  consente di creare tutti gli elementi separati per poi gestirli e spostarli a necessità, e cosa non da poco rende possibile intervenire sui toni e sulla luce ogni volta che si vuole, permette di cancellare e riutilizzare all’infinito ogni passaggio.
Si può inoltre attingere direttamente dalla rete per ottenere eventuali textures o effetti che sarebbero impossibili da dipingere sulla carta.
In ogni caso ho realizzato comunque anche lavori ibridi sfruttando le potenzialità della pittura tradizionale ottimizzandola infine digitalmente, non credo che una cosa escluda l’altra.
Evitando di andare troppo sul tecnico e tralasciando le impostazioni di preparazione del foglio di lavoro digitale o le ottimizzazioni di stampa, vi parlo delle due cose da tener sempre in considerazione nella consegna di un lavoro come questo.

1. L’ingombro dei testi che andranno inseriti nella copertina.

Questi se non prefissati potrebbero fondersi con il disegno e risultare poco leggibili, o essere talmente ingombranti da nascondere una parte contenente elementi importanti. A volte si ha poca manovra in questo senso ma vale la pena aguzzare l’ingegno e sapere subito quali aree occuperanno.

2. Cornice di taglio.

In caso di stampa tipografica mai dimenticarsi delle linee di taglio che spesso le case editrici comunicano all’artista, queste potrebbero mozzare elementi disegnati che vi si trovano all’interno. Questi tagli vengono effettuati anche nelle impaginazioni digitali di case editrici che presentano uno standard d’impaginazione fisso. Meglio quindi informarsi di tutto prima di cominciare.

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Gli step

Di seguito è possibile vedere una sintesi della lavorazione di partenza e la sua evoluzione nella preparazione della copertina riguardante il primo volume scritto da Marco, "Il Richiamo del Crepuscolo".
Il metodo di realizzazione scelto in questo caso è totalmente digitale.





Premesso che quando si usa un programma per disegnare bisogna sempre tener conto del fatto che gli elementi vengono comunque realizzati dall’artista coerentemente con le sue capacità ed il suo stile. Non è stato sufficiente spingere un bottone per disegnare un vascello sul mare né si può copiare ed incollare il lavoro di qualcun altro.
A sinistra dunque la prima idea con tonalità lunari inviatagli, la mia visione di un vascello alla deriva al crepuscolo.

NB: Molte parti del vascello sono state realizzate singolarmente dopo averne studiato un po’ le caratteristiche e lo stile, e successivamente unite proprio come se fosse un modellino.
Solo l’imbarcazione si compone di 5 gruppi di livelli divisi per Legni, Vele, Cordame, Effetti luce e muffe, Metalli. Ogni gruppo ha sottogruppi di livelli composti da singoli oggetti disegnati.
La copertina completa si compone di 15 gruppi contenenti centinaia di oggetti disegnati, dal punto luce allo scoglio, dalla nuvola alla goccia di pioggia.

Nell’immagine al centro ecco la modifica dei toni richiesta dallo scrittore e l’aggiunta concordata di nuovi elementi come vele strappate, scogli, luna e teschio, pioggia e toni bronzei.
Infine nella terza, la copertina elaborata ancora nella tonalità, nella luce e nel disco lunare ormai solo accennato per evidenziare il teschio che dalla prima idea è divenuto elemento protagonista.
Qui sotto, l’impaginazione definitiva dell’opera attualmente in vendita.


Concludendo

Quando si arriva alla consegna definitiva e l’autore è soddisfatto, felice delle immagini che le sue parole hanno assunto, lo sono anche io.
Come se entrando nella sua fantasia avessi scattato una diapositiva della sua mente intenta a creare, un disegno di ciò che lui vede, non di ciò che è.
Una responsabilità che mi rende orgoglioso.


Buona lettura.

La fantasia è l’occhio dell’anima
( Joseph Joubert )





giovedì 10 novembre 2016

L'Origine del Crepuscolo

Era all'inizio del 2001 che, scrivendo il lungo addio al termine della 'Trilogia di Lothar Basler', giungevo all'epilogo di una storia principiata, dentro di me, ben prima delle pagine del suo preludio. Finita, finalmente, con tutto lo scotto che la passione aveva reclamato nella sua realizzazione. Finita, pensavo, e tanto era tutto ciò che m'importava.

Poi accade che nella notte di qualche mese più in là, di ritorno da una di quelle feste che ti catturano al tramonto e non ti rilasciano prima dell'alba, forse per scarsa lucidità, forse perché nelle ore più buie i sogni sembrano davvero più veri, si formò nella mia mente un titolo, solo un titolo, senza alcuna storia, senza alcuna trama che ancora vi affiorasse da sotto. Tre parole, scolpite nella mia mente forse poco lucida, forse preda di un sogno sconfinato nei territori della veglia.

Il Richiamo del Crepuscolo.

Il tempo di ripetermelo a fior di labbra, di figurarmi una sorta di canto sottile, di armonica che increspa l'atmosfera torbida dell'imbrunire. Subito dopo compresi due cose: la storia che pensavo di avere concluso aveva ancora molto da raccontare; e quel titolo reclamava un romanzo che forse avrebbe aspettato, ma che prima o poi mi avrebbe costretto di nuovo con la penna in mano, pretendendo di essere scritto.

Sarei tornato a immergere gli stivali nel fango dei Principati, a perdermi tra i vicoli di Lum, forse persino a bussare al Boccale del Gioco (ma ne esisteva ancora uno? non era chiuso e abbandonato?). Per giungere dove? Non ne avevo idea, ma sospettavo che sarebbe stato lontano, oltre quell'orizzonte in bilico fra tramonto grondante e tenebra sinistra.

Suona tutto molto romanzato, me ne rendo conto. Romanticamente bohémien. Eppure, la mia mano sul cuore, vi assicuro che è del tutto autentico. Un titolo nella testa, la spinta a riaprire una porta creduta chiusa. Forse ero ubriaco? Un po' brillo di certo. All'epoca, ad essere onesto, non capitava così di rado... L'università era lì per concludersi, i pensieri perlopiù lievi nella testa, il peso di molte responsabilità un'idea ancora vaga all'orizzonte. Ma una sensazione così - definitela come più vi piace - non mi è mai capitato di provarla di nuovo. I titoli sono abituato ad attribuirli a posteriori, o al massimo strada facendo, stando accorto a idearne il più possibile calzanti alle relative storie.

Non mi metto subito al lavoro, al contrario. Passano oltre quattro anni, addirittura. Il Crepuscolo mi chiama ma io, senza un autentico motivo, mi defilo. Finché, nel momento in cui mi decido a tentare la via della pubblicazione con la 'Trilogia di Lothar Basler', mi faccio anche una promessa: se la saga originale troverà un editore pronto ad accoglierla, allora io celebrerò l'evento iniziando a scriverne il seguito.

Metà 2005, ricevo notizia da una casa editrice che la 'Trilogia di LB' è stata letta ed apprezzata, che c'è intenzione di propormi un contratto di pubblicazione. Metabolizzato l'entusiasmo per la lieta novella, torno dopo anni a rimettere la penna sul foglio e cedo al 'Richiamo del Crepuscolo'. Una promessa è una promessa, e anche volendo sento di non avere più facoltà di procrastinare.

Poi...

Il contratto ritarda ad arrivare. I mesi passano, la situazione stagna. Finché vengo informato che l'intenzione di pubblicarmi esiste ancora, ma la casa editrice sta rivedendo le sue politiche editoriali e non v'è attualmente certezza che si continuerà a puntare sul fantasy. E io aspetto, aspetto. Solo uno scrittore in attesa del suo primo contratto può davvero capire quanto sia macerante. Finché la mia penna si asciuga. Sono quasi a metà de 'Il Richiamo del Crepuscolo', ma lo slancio dapprima si stempera, poi si spegne, incagliato in un senso di comprensibile amarezza. Il Crepuscolo continua a chiamarmi, ma io mi tappo le orecchie.

Giunge la fine del 2006, pochi giorni prima di Natale. Il telefono squilla, è la Curcio. Anche loro, come l'editore precedente, hanno letto la 'Trilogia di LB'. Anche a loro è piaciuta. Anche loro vogliono pubblicarla. Stavolta il contratto arriva, e io lo firmo. La promessa torna a reclamare la mia parola lasciatale in pegno (per inciso, sei mesi dopo arriverà anche il contratto della prima casa editrice; mi rimarrà come soddisfazione, ma non mi restituirà il tempo perso).

La penna riprende esattamente da dove aveva lasciato, come fosse il giorno successivo, come non fosse trascorso un anno e mezzo. E non si ferma più, fino all'estate del 2009, quando non solo quel romanzo, ma anche un secondo e un terzo hanno la loro storia raccontata. La storia che è la prosecuzione di una storia precedente, partita da molto lontano.

Fino alla vera fine, stavolta? Io credo di sì. Per certi versi lo spero, perché ci sono altre storie che mi chiamano e mi chiameranno, e non è per niente facile lasciarle inascoltate.

Ma il ricordo di quel titolo geminato in maniera inesplicabile dentro di me tanti anni fa torna ogni tanto a farmi visita.

E chi può dirsi assolutamente sicuro che qualcosa di simile non accadrà mai più in nessun'altra notte?


martedì 18 ottobre 2016

L'Avvento del Crepuscolo

Come preannunciato, esce oggi "Il Richiamo del Crepuscolo", volume primo della mia nuova "Trilogia dell'Estraneo", edito in ebook da Delos Digital.

Ci sarà tempo per esprimere l'emozione speciale che questo evento suscita nel sottoscritto, che così tanto l'ha atteso quale opportunità di condurre a compimento una storia iniziata da molto lontano. Mi limito oggi a riportare la notizia, con l'auspicio che possa far piacere a tutti quelli che assieme a me hanno condiviso l'attesa.

Il Crepuscolo prosciuga la luce, il sole stenta a rinnovare la promessa del proprio ciclo, le ombre invadono il palco sul quale verranno invitati a recitare attori vecchi e nuovi, sul confine dell'ultimo tramonto. 

Ne sentite anche voi il richiamo, nel tremore della luce che si spegne?


giovedì 13 ottobre 2016

Copertina de 'Il Richiamo del Crepuscolo'

Sul cammino bianco,
alberi che nereggiano stecchiti;
sopra i monti lontani sangue ed oro...
Morto è il sole...
Che cerchi, poeta, nel crepuscolo?

(Antonio Machado)


mercoledì 5 ottobre 2016

Habemus Datam

18 Ottobre 2016: questa la data di pubblicazione de 'Il Richiamo del Crepuscolo', volume primo della Trilogia dell'Estraneo.

Benché se ne fosse scorta un'anteprima già in coda al booktrailer postato la settimana scorsa, vi lascio qui in tutta la sua vespertina cupezza l'illustrazione realizzata da Mario Labieni per la copertina del romanzo.

Spero vi piaccia quanto è piaciuta a me.



venerdì 22 luglio 2016

Vele corrotte al corrotto vento...

Galèria studiò con scrupolo il piglio di Axel accosciato sulle gambe magre e pelose.

“Ti senti davvero pronto?” gli domandò in tono gentile.

Axel assentì con il capo.

Galèria esitò ancora un attimo nell’incrociare i suoi occhi schietti sotto l’arco folto delle sopracciglia aggricciate. Non dubitava dell’onestà del suo discepolo. Axel aveva un modo così trasparente di far trapelare le proprie emozioni che non sarebbe riuscito a mentirle neppure volendo. I dubbi li nutriva piuttosto nei confronti di se stessa, della bontà del giudizio che l’aveva indotta a chiedergli di provare. Ormai era deciso, l’incertezza avrebbe soltanto complicato le cose.

“Cominciamo.” disse.

Axel spezzò in due la radice bulbosa e se la ficcò in bocca. Iniziò a masticarla rumorosamente. Galèria posò sull’erba la grossa ciotola ricolma d’acqua; una rozza ragnatela di rune era incisa sulla terracotta. La Maestra fece un cenno a Moonz che scivolò alle spalle di Axel e gli posò le mani grifagne sulla testa. Come la proprietà narcotica della radice trattata iniziò a fare effetto, le palpebre si rammollirono sugli occhi di Axel: non calarono del tutto, ma si fermarono a mezz’asta, scosse da un fremito costante. Galèria salmodiò i versi rituali e toccò il pelo dell’acqua con la punta delle dita. Arretrò di un passo, senza smettere di mormorare. Axel divaricò le dita e sospese le palme sulla ciotola. Anche lui salmodiava adesso, sebbene la barba nascondesse il movimento delle labbra; sputava pezzetti di radice dalla bocca piena che finivano intrappolati fra le ciocche aggrovigliate. Solo Moonz restava in silenzio. Gli occhi del mezz’orchetto erano due fessure oblique; lentamente, un bagliore spettrale prese a emanare da essi, azzurrino quanto il cielo del primo mattino.

Axel curvò le spalle in avanti, finché il riflesso del sole sull’acqua non fu sostituito da quello del suo volto distorto. Sottili increspature continuavano a perturbare la superficie liquida: svanivano e si riformavano al ritmo del salmo sussurrato, prodotte da una misteriosa forza magnetica. Ben presto il lucore degli occhi di Moonz si trasferì allo spazio fra le mani di Axel e quelle minuscole onde. Un riflesso cremisi si fuse all’azzurro, generando un alone violetto. I glifi arcani incisi sulla terracotta palpitarono come braci attizzate. Galèria osservò il fenomeno e fremette in apprensione.

“Ora,” bisbigliò, “apri la tua mente.”

Axel emise un suono strozzato, come se qualcosa gli si fosse incastrato in gola. Durò un attimo, il tempo di riprendere la litania. Le sue spalle si afflosciarono, il mento gli ricadde sul petto. Le sole palpebre socchiuse continuavano a vibrare ad alta frequenza mentre lui scrutava l’acqua nella ciotola avvolta di vampe fatue e, attraverso di essa, oltre i veli del tempo e dello spazio.

Galèria strinse forte in pugno una pietra smussata con una singola runa scolpita nel mezzo. Provò a sintonizzarsi sul canale aperto dal suo discepolo ma invano. Aveva proposto ad Axel di farsi tramite del Potere incontaminato messo a disposizione da Moonz per tentare là dove lei stessa aveva fallito: stabilire un contatto con i Fratelli della Luce oltreoceano. Nonostante il controllo rudimentale e spesso istintivo che aveva delle proprie facoltà, Galèria nutriva enorme considerazione delle doti mistiche di Axel. Sperava che le sue risorse latenti, alimentate da Moonz e regolate dal proprio intervento esterno, potessero lacerare il sudario d’ombra teso a occidente e raggiungere Mighal. Purtroppo però la pietra restava fredda nella sua mano e ogni suo tentativo d’innestarsi nel flusso generato veniva frustrato da un’oscura interferenza di sottofondo.

Unghialunga seguì il rituale raggomitolato. Il suo pelo screziato era ritto e traversato dalle onde empatiche che condivideva con Moonz. Il gatto selvatico era il famiglio del mezz’orchetto: lo aiutava a stabilizzare il flusso di Potere compensando, tramite un’intima simbiosi, la sua inclinazione a manipolarlo in funzione dell’istinto. Altri animali fecero capolino dagli anfratti della foresta, attirati dalla luce. Assistettero al salmodiare di Galèria e all’esercizio curioso dei suoi adepti.

Fino all’urlo che li fece ritirare impauriti.

Galèria gettò via la pietra d’un tratto rovente.

Sono stata una sciocca imprudente! si rimproverò con un groppo alla gola, pronta a vedere Axel stramazzato al suolo.

Era stato invece Moonz a gridare. Col capo rovesciato all’indietro e le fauci zannute ancora spalancate, il mezz’orchetto aveva strattonato la lunga chioma di Axel. Un passo indietro, e la creatura si staccò dal compagno portandosi dietro una manciata di capelli incrostati. Galèria si precipitò su Axel piena di sgomento. Il contatto era stato spezzato, non c’era un attimo da perdere! Lo afferrò per un braccio e lo scosse con vigore. Con sua somma sorpresa, Axel fece resistenza: si liberò con uno strattone e digrignò i denti senza sollevare le palpebre contratte. Moonz arretrò barcollando finché s’accasciò seduto sull’erba.

“Axel, interrompi! Per l’amore di Dio.”

“N-n-no!”

Lo sforzo che fece per risponderle senza uscire dal regime di parziale catalessi lasciò Galèria senza parole. Lo vide curvare le dita nella forma di artigli artritici nel tentativo di mantenere il controllo sul bagliore rosso e blu che si torceva sibilando sulle increspature dell’acqua. Axel si era fatto tramite dell’energia di Moonz, il Potere di un Kazhum A Teara. Persino il Venerabile Mighal era stato solito diffidare della procedura che rendeva un semplice umano, per quanto addestrato nell’arte, vettore del Potere più puro. Galèria aveva studiato per anni il fenomeno ed era giunta alla conclusione che, sottoposta a vincoli stringenti, la pratica era realizzabile. Rammentava decine di occasioni in cui lei e il suo vecchio Maestro avevano dissertato anche animatamente sui rischi correlati alla sua attuazione. Ma ora Axel aveva interrotto il legame diretto con il serbatoio energetico. Si torceva squassato da un parossismo di spasmi interiori, nello sforzo di dominare autonomamente quell’energia raffinata.

Santo Dio, no! Finirà per ucciderti!

Galèria fece di nuovo per strapparlo alla catalessi ma qualcosa la fermò. Fu la sensazione dell’occhio chiaroveggente di Axel che s’acuiva oltre i limiti umani, irrorato dal Potere di Moonz. Lo sentì bucare come uno strale la tetra, impalpabile foschia che permeava l’aria.

Un borbottio liquido. La ciotola esalò i vapori dell’acqua in ebollizione.

Axel spalancò le palpebre sulle sclere iniettate di sangue; le iridi erano scomparse nell’incavo delle orbite.

Galèria non poté più indugiare. Capovolse la ciotola con un calcio, spedendo l’acqua a ribollire nell’erba. Axel fu scosso da uno spasmo violento. Rigurgitò il bolo nero della radice semi-masticata. La Maestra lo afferrò per le spalle che tremavano senza controllo.

“Axel, per l’amor di Dio! Axel!”

Galèria si cavò frettolosamente di tasca una fiaschetta di legno. Fece saltare il turacciolo con l’unghia del pollice e costrinse Axel a trangugiarne il contenuto.

Lentamente, i suoi occhi tornarono a raddrizzarsi. Una pellicola di sudore viscoso gli ricopriva ogni palmo della pelle bollente. Tremava come in preda alla febbre e un rivolo di sangue gli colava dal naso. “Ma-ma-estra…” balbettò.

“Axel, calmati, è tutto finito,” Galèria lo abbracciò con un singhiozzo, “tutto finito. Perdonami, sono stata un’incosciente a chiederti di provare.”

“Ma-e-stra… ho ve-duto…”

“Taci, per carità. Non devi sforzarti ancora.”

Axel scosse piano la testa e lottò per articolare le parole: “Un va-scello… solca il mare so-li-tario…” Deglutì con una smorfia aspra. Quando riprese a parlare la sua voce era più fluida, benché al limite dell’udibile. “Viaggia alla deriva… le vele strappate, lo scafo scrostato… un vessillo nero privo d’emblema sventola sull’albero maestro… S’incaglia sulla riva… e nessun equipaggio sbarca… ma un’ombra… un’ombra…” s’interruppe con un rantolo.

“Axel!” Galèria pensò che non ce l’avrebbe fatta a continuare. Moonz barcollò al loro fianco. Unghialunga lo fissava con gli occhi verdi e gialli sbarrati, le pupille ridotte a due fessure verticali. Il mezz’orchetto cadde in ginocchio, la testa penzoloni.

“Un’ombra di morte…” Axel sembrò radunare le forze residue per proseguire. “Si stende dalla nave… sommerge la costa… sommerge alberi e montagne… fiumi e villaggi… città… Precipita verso di me… ho paura, non posso muovermi… Poi odo una voce… mi chiama, mi chiama… ma io non posso vedere… cieco di tenebra e di… smarrimento…”

“Conosci quella voce?”

Axel scosse impercettibilmente la testa. “No… eppure mi chiama e io… io…” le parole s’impigliarono nella lingua, “…io non posso decidere di non andare… mi trascina verso l’oscurità che ricopre il… cielo… Il sole si spegne… la luce muore… e poi…” i suoi occhi maculati di capillari esplosi si riempirono dell’immagine della visione testimoniata.

“E poi?”

“Poi… poi…” le labbra di Axel cominciarono a tremare, lacrime dense gli rigarono le guance barbute. “Poi il nulla…”

“Che vuol dire il nulla?” Galèria sentì un vuoto gelido farsi strada nel suo stomaco.

“Il nulla.” Adesso Axel piangeva e tremava rannicchiato come un bambino. “Solo un unico immenso crepuscolo perdurante…”


Galèria lo strinse a sé e nascose nella sua spalla il proprio volto affrescato dal terrore.



martedì 14 giugno 2016

10 Cose che so sulla Trilogia dell’Estraneo…

...e che voglio condividere con voi.
  1. I tre manoscritti sono pronti, realizzati in prima bozza qualche anno fa (tra il 2005 e il 2009) e rivisti a più riprese nel frattempo;
  2. Il primo volume si intitolerà “Il Richiamo del Crepuscolo” e, fedele al tradizionale paradigma delle trilogie, rappresenterà la macro-introduzione a una storia che svelerà gran parte della sua trama solo nel secondo episodio, lasciando comunque al volume finale il compito di sciogliere i nodi principali;
  3. Rispetto alla ‘Trilogia di Lothar Basler’ ci saranno molti più personaggi, alcuni vecchi, diversi nuovi (compresi un asino e un corvo… :P);
  4. Sempre rispetto alla trilogia precedente, ci sarà più storia. Più ampia, più articolata, spero più avvincente. Pianificata con l’intenzione di essere svelata uno strato per volta, in un crescendo di rivelazioni e colpi di scena (vedi p.to 2);
  5. La ‘Trilogia dell’Estraneo’ è stata comunque realizzata in modo da poter essere fruita anche da chi non ha letto la ‘Trilogia di Lothar Basler’, i riferimenti verso la quale a ogni modo non mancano. Certo, se si parte dall’inizio ci si gode di più il viaggio…
  6. Le atmosfere saranno sempre molto gotiche, sfumate in maggior misura nell’horror col susseguirsi dei volumi;
  7. A prescindere dalle atmosfere e dalle definizioni, saranno come sempre i personaggi il fulcro primario di tutto l’impianto. Con le loro luci e ombre, i loro rapporti ora sodali ora conflittuali, intesseranno delle proprie emozioni la storia in maniera auspico verosimile, sfumando di grigio tutto lo spazio tra il bianco e il nero che sarò riuscito a occupare;
  8. La memoria costituirà ancora una volta un tema portante della storia, centro di gravità di una costellazione sfumata in chiaroscuro di inquietudine, malinconia, nostalgia. E odio e amore, certo. Come sempre;
  9. Ci sarà ancora una volta una guerra. E battaglie più o meno convenzionali;
  10. Le copertine saranno ancora una volta opera di Mario Labieni. La prima è praticamente realizzata, la seconda sta prendendo forma, per la terza tante idee ancora da spennellare;
  11. Avevo detto 10? Me n’è sfuggito uno… ;)
Molto altro ci sarebbe da dire, ma non voglio rubare tempo al tempo. Se qualcuno ha delle curiosità specifiche, tuttavia, sono qui pronto soddisfarle (o almeno a provarci...).

martedì 24 maggio 2016

Il Richiamo del Crepuscolo

Come un’ombra scivolata oltre la coda dell’occhio distratto, egli vaga.

Per le contrade degli uomini, lungo le vie segrete sepolte sotto la pelle di campagne e città. Viaggia attraverso la ragnatela occulta intessuta nell'epidermide delle carrarecce che solcano colline, selve e pianori, inseguendo il corso delle rotte recondite nel labirinto di vicoli angusti dei borghi affollati. La notte, perlopiù, quando la tenebra è alleata del passo discreto; talvolta di giorno, là dove l’ala dell’ombra si spiega di nascosto al sole di primavera.

Nessuno di coloro che incrocia lo rende mai oggetto d’una occhiata consapevole. Lo sbirciano per il tempo d’un battito di ciglia. Tutto ciò che resta loro è l’alone torbido di un brano di memoria, il riflesso cupo di quell'ombra scorta ma non del tutto registrata; un sussulto inatteso, un disagio fosco. Molti lo sognano la notte successiva, eppure quando si destano sudati non riescono a definire lo spettro onirico evocato dal ricordo fugace. Vi riflettono in preda all'ansia, ma presto la reminiscenza sfuma e la mente non è più capace di ricordare l’oggetto di tanto turbamento. Talora, di rado, si ferma a parlare, chiedere, interrogare. Riceve risposte borbottate, parole nolenti di chi ha fretta di allontanarsi prima di dovere ammettere l’inquietudine che gli monta nel petto. Avvolto dai miasmi untuosi delle taverne appartate, o nel buio serale dei crocicchi isolati di campagna, adesca il passante occasionale e ne ottiene lo scampolo d’informazione di cui abbisogna; poco dopo è già svanito, e il ricordo è l’impronta indefinita d’un brivido sulla pelle.

Vaga, e non sempre il cammino è deciso. Ci sono frangenti in cui la ragione pare offuscata dallo stesso inchiostro fluido della tenebra di cui s’ammanta. Barlumi d’oscurità che sbocciano nella mente, eclissi d’intelletto che lo costringono a indugiare il passo, a nicchiare, rallentare.

Finché l’inchiostro si riassorbe ed egli riprende a vagare.

Fiuta la scia dei cacciatori che lo inseguono e quella più acre della paura che pretendono di ignorare. Lo temono, giacché sanno che non esiste preda e predatore, bensì una pavana complessa in cui i ruoli mutano a ogni ciclo della marea. Altri a venire saranno invitati alla danza, altri attori sul palco a mescolarsi di posto e costume. C’è chi già sogna l’odore appassito del suo strascico di tenebra. Sente l’aroma conturbante di chi c’è e di chi ci sarà.

Ancor più, tuttavia, sente il richiamo sinistro del sole che preme per tramontare sul mondo.




martedì 3 maggio 2016

La Trilogia dell'Estraneo

Questo vediamo Noi, Oracolo degli Uomini:
il Crepuscolo, le Ceneri, l’Eclissi dei Tempi.
L’Estraneo al calar del sole, profeta annunciato,
i Quattro prescelti Sacrificati,
L’Aria, il Fuoco, l’Acqua, la Terra,
il Nero risorto sul Bianco violato,
il Giorno che scema e la Notte che attende,
l’estrema contesa d’annosa memoria
sul confine indeciso dell’ultimo canto
là dove la Luce infine si spegne.

(Autunno 2016)


martedì 5 aprile 2016

Il Crepuscolo che sarà

Lo avevo più volte anticipato, ora è tempo di conferme: dopo l’estate, in un mese che conto di attestare a breve, la storia che io per primo avevo creduto conclusa con il posludio di ‘Figli di Tenebra’ avrà un nuovo inizio. A dieci anni di distanza da quel lungo addio, personaggi vecchi e nuovi incroceranno il proprio cammino al cospetto di una minaccia di cui appena s'inizia a intravedere il profilo incombente.
Tempo non mancherà per altre anticipazioni, al momento vi lascio con uno scorcio foriero di ciò che sarà, sul confine della luce che muore...


martedì 8 marzo 2016

E infine Tre, di nuovo

Eccoci dunque ancora qui, a (ri)chiudere il cerchio della nuova incarnazione della "Trilogia di Lothar Basler" attraverso la pubblicazione del suo volume terzo, "Figli di Tenebra", che esce oggi in e-book.
Era sul finire del 2009 che la Trilogia si compiva per la prima volta con la sua pubblicazione originaria, e non vi nascondo l'emozione di averle visto percorrere il suo cammino ancora una volta. Voglio ringraziare di nuovo la Delos Digital - e in particolare Emanuele Manco e Silvio Sosio - per avermi aiutato a ripavimentarne il selciato, da Lum a Golcônda.
Un viaggio creduto concluso dal sottoscritto, un epilogo che nel tempo s'è rivelato essere tappa cardine ma tutt'altro che terminale, volano di una storia che aveva detto molto, eppure molto altro aveva ancora da raccontare.
Ne riparleremo...

martedì 9 febbraio 2016

E sono Due (+ Intervista)

Esce in data odierna "Il Sangue della Terra", volume secondo della "Trilogia di Lothar Basler", in linea con i piani già annunciati di (ri)pubblicazione della saga in e-book con Delos Digital.

In concomitanza, vi segnalo anche un'intervista rilasciata per l'occasione a Fantasy Magazine.

Buone letture! :)