venerdì 13 luglio 2018

La Vedova Nera

"Venne annunciata dal flauto fantasma, come i non-morti nella Conca degli Spiriti. Fedele alla promessa, venne al sorgere della luna, ruota incompiuta confitta nel cielo. Dodici cavalieri in armatura completa e tunica viola le fecero da scorta. Il tredicesimo era Caleb, l’araldo ragazzino. Scandì con il flauto la pigra avanzata del corteo. Quando si trovarono a poche decine di metri dalla Porta del Sale, i cavalieri serrarono una fila irta di lance alle spalle del loro condottiero. Uno di loro consegnò il vessillo col serpente bicefalo nelle mani di Caleb che aveva smesso di suonare. L'araldo si accostò un passo indietro alla sua signora.

La Vedova Nera, comandante della compagnia di ventura un tempo conosciuta come i Giannizzeri di Capo Gorgone, prima della venuta del Crepuscolo che l’aveva vincolata, nome e anima, all’Anarca Borea. Vestiva un’armatura di lucide scaglie nere che le aderiva al corpo come la pelle di un serpente, drappeggiata da un ampio mantello d’un viola cupo. La corazza rimarcava la forma snella delle braccia e delle gambe, si combinava ai lembi della maglia metallica sottostante, anch’essa nera. Il suo corpetto sagomato recava intarsiata in argento l’anfisbena nella sua posa inanellata. Scaglie nere, acciaio nero, cuoio nero dei guanti lunghi sino al gomito e degli alti stivali. Nero era anche l’elmo che le proteggeva la parte superiore del viso: una maschera di metallo lucido dotata di fessure oblique per gli occhi e di una cresta di lame sottilissime e affilate. Fedele al suo nome, la Vedova Nera pareva assorbire l’anima della notte per tramutarsi in ombra fitta tra le sue spire. Una sola eccezione spiccava in lei: la porzione inferiore del viso, lasciata nuda dall’elmo. Aveva la pelle candida e levigata di una scultura d’avorio, o forse la carne esangue di un cadavere.

La Vedova aveva chiesto di conferire con l'Estraneo al calare delle tenebre. Il misterioso condottiero che ordiva l’assedio senza comparire mai negli assalti ai bastioni. Egli ne aveva intuito sin da allora la ragione; quella che si trovava a contemplare adesso non era altro che la conferma dei suoi sospetti. Quella laggiù non era una donna mortale: era un Nosferatu.

L’Estraneo pastore di Sacrificati. - la voce della Vedova parve poco più di un sussurro, eppure giunse nitida alle orecchie di tutti coloro che assistevano al confronto. - Infine sei riuscito a sottrarmi il fanciullo, quando ormai ero pronta ad accoglierlo fra le mie braccia. - Emise un sospiro breve, che per un lungo istante rimase sospeso nella notte. - Malgrado tutto, sono compiaciuta d’incontrarti. La leggenda incarnata…

- Cosa vuoi? - Il suo tono fu di contro sferzante. - Risparmia i convenevoli e dì quanto hai da dire.

- Le tue maniere aspre sono fuori luogo. - le labbra carnose di lei s’incurvarono sotto il ciglio dell’elmo. - Non ti ho affatto insultato.

Egli sentì il disagio che si propagava negli uomini attorno a sé. Tintinnare di corazze e armi, mentre si agitavano sul posto. Era la voce della donna a produrre quell’effetto. Un sussurro solo all’apparenza soffice, il belletto di una malia velenosa capace d’insinuarsi sotto la pelle di chi l’udiva. - Guidi l’esercito che ci assedia. - ribatté gelido. - Smonta le tue tende e vattene, se vuoi ricevere maggiore cortesia. Altrimenti resta e combatti. - Sputò oltre il parapetto. - Cagna demonica.

Le spalle della Vedova Nera sussultarono sotto la corazza lucida. - Cos’è quella che sento nelle tue parole, Estraneo? Incertezza? - Egli assottigliò occhi e labbra. La voce melliflua del vampiro sembrò carezzargli la pelle. Qualcosa reagì dentro di lui. Un brulichio subdolo, dietro la fronte. - Forse che l’Oracolo non ti ha parlato di me? - proseguì lei. - E’ questo che ti fa esitare? L’assenza d’ogni menzione fra le strofe della sua canzone?

- L’Oracolo ha trascurato un’infinità di particolari, - le sue labbra di s’arricciarono maligne, - insignificanti.

La Vedova fece avanzare un poco la sua cavalcatura, un purosangue dal manto nero come l’inchiostro, snello e ricoperto da una gualdrappa scura. Un destriero non più ordinario della donna che portava in arcione, pensò lui, non più normale probabilmente dei cavalieri che la accompagnavano. Gli animali mal tolleravano la vicinanza dei morti risorti. La Vedova era uno di loro e i suoi soldati, come minimo, erano impestati dalla lebbra del Crepuscolo.

- Immaginavo che saresti venuto a Genes a prenderti l’ultimo Sacrificato.

- Saperlo non ti è bastato a impedirmelo.

Stavolta le sue spalle si strinsero. - Un inconveniente relativo. Ti è mai venuto in mente ch’io possa essere soddisfatta, in conclusione, di avervi tutti concentrati, lo Shûn e i Sacrificati, tra le mura di una città accerchiata dal mio esercito? - Sorrise di nuovo, stavolta mettendo in mostra il profilo ricurvo dei canini. - Nelle mie mani.

Il formicolio del sigillo s’acuiva a ogni sillaba che lei pronunciava. Egli non tradì alcuna emozione. - Quando sono sbarcato in Altea, ho sentito parlare della tua compagnia d’arme. Una brigata decennale, decorata dalle cicatrici di molte battaglie, combattute per conto di chiunque ne avesse comprato la fedeltà. Pensavo fosse un uomo a comandarla. Le uniche donne che i mercenari sono soliti portarsi dietro sono le loro puttane.

La Vedova Nera non sembrò risentirsi dell’insulto; ridacchiò anzi divertita. - Le loro puttane o le loro donne. Che poi spesso sono la stessa cosa, convengo. Non il mio caso, tuttavia. Io sono entrata nei Giannizzeri con la spada in pugno, mi sono guadagnata la mia paga insieme a tutti gli altri. Ho condiviso il letto del Macellaio di Boudan, certo, colui che l’ha guidata per tre lustri a combattere per la penisola e oltre, sulle sponde straniere del Mare Azzurro. In quel letto in seguito è morto, allorché il momento di scegliere è venuto ed egli ha esitato. - Implicò con un sogghigno i retroscena della vicenda, le analogie crudeli con il suo nome. - Quando l’Anarca chiama, nessuna titubanza è perdonata.

- Hai ereditato la tradizione dei Giannizzeri, - le parole dell'Estraneo riecheggiavano nella notte, quasi le tenebre si fossero fatte pietra capace di restituirne il suono, - e la loro superbia. Forse il tuo Macellaio ha compreso l’ineluttabile condanna offerta dall’Anarca. Avresti dovuto ascoltarlo, invece di tradirlo. Saresti ancora la sua puttana, e avresti avuto salva la tua anima.

Stavolta la risata della Vedova risuonò chioccia e mordace. - Ero una mercenaria destinata a morire nel sangue di una battaglia. Stuprata e seviziata dal nemico che un giorno, prima o dopo, m’avrebbe sconfitto. Ora marcio alla conquista di città. Ora sono potente, ora sono immortale.

- Tu e la tua compagnia, - egli comprese i cavalieri schierati con un gesto del braccio, - stavolta avete pagato un prezzo di gran lunga superiore a quello che v’illudete d’incassare. Borea vi ha condannato per pochi spiccioli, e molto presto ve ne renderete conto.

- L’Anarca m’ha elevato al rango sommo dei suoi seguaci. - sibilò lei con un sorriso feroce. - E i miei uomini conducono l’avanguardia delle sue legioni.

- Il Bacio di Tenebra è una condanna, non una ricompensa. - Per un attimo egli si domandò se fosse compassione quella che provava per quei soldati ai piedi del portale. No, si rese conto, era solo disprezzo. Avevano compiuto la loro libera scelta e di quella, volenti o nolenti, si sarebbero assunti le conseguenze. - Cosa sei venuta a fare qui? A raccontarmi la tua inutile storia?

Gli occhi acuti dell'Estraneo intuirono lo sguardo della donna che ammiccava tra le fessure dell’elmo. - Avevo intenzione di trattare la resa della vostra misera città.

- A quali condizioni?

Lei scosse piano la testa. - Nessuna. - Egli sentì i mormorii alterati dei soldati sui bastioni. Il comandante Thiele biascicò un insulto e una minaccia all’indirizzo del nemico che li irrideva. - Potrei concedervi di abbandonare le case, di ritirarvi verso le montagne. Le valicheremo comunque presto, anticipati dal Crepuscolo che già diffonde fra i valichi. - Sorrise beffarda. - Non ho alcun bisogno d’ingannarvi, anche se ammetto che sarebbe divertente vedervi scappare come una sciame di topi.

- E allora? La resa incondizionata non è un’alternativa, e tu lo sai. Cosa sei venuta davvero a fare?

- A conoscerti, - scandì languida, inarcandosi lievemente sulla sella, - sono venuta a conoscerti. Presto le mura cadranno e noi verremo dentro a prendere anche voi. I Sacrificati annunciati dall’Oracolo e tu, lo Shûn incaricato dell’ingrato compito di guidarli alla mattanza.

Il formicolio del sigillo lo costrinse  a inghiottire una smorfia. - Credi veramente che io possa avere paura di te? - le domandò con freddezza. - Come puoi illuderti che un semplice luogotenente fresco del marchio della dannazione possa spaventare lo Shûn?

La Vedova Nera diede un colpo di sprone e fece avvicinare la cavalcatura fin sotto le mura. A quella distanza, sarebbe stato semplice sommergerla di frecce. Tutti però assistevano come stregati alla spavalderia del comandante nemico che non si preoccupava di giungere a sfidarli tanto da vicino. Nell'attimo in cui si fermò, un sorriso malizioso sorse sulle sue labbra livide. - Sei certo, proprio certo, in fondo al tuo cuore, di essere ancora in grado di attingere, tu spettro oscuro, all'anima necessaria a sconfiggere il tuo avversario? Quale combustibile hai da offrire tu, che sei diventato l’Estraneo fra i mondi? - Si sfiorò la fronte con le dita guantate, con deliberata eloquenza.

Per un attimo, egli non ebbe fiato per replicare. Peggio ancora, si accorse dell’effetto deleterio che le provocazioni instillavano nello spirito di quelli che osservavano. La Vedova Nera lo pungolava dalla sua posizione di chiaro vantaggio, ed aveva tutte le ragioni per farlo. D’improvviso, si riebbe e comprese quale era l’unica strada da percorrere. Se l’intenzione di lei era svilirlo sotto gli occhi dei due schieramenti, lui le avrebbe ritorto la mossa attorno alla gola.

Mise un piede sul parapetto e si sollevò fra i merli mutilati della Porta del Sale. Il vento gonfiò il mantello nero sulle sue spalle. - Se in me non c'è altro che uno spettro oscuro, inadeguato a fronteggiare persino il più acerbo dei sudditi del nemico, risparmiati la fatica di venirmi a cercare tra le strade della città quando le mura saranno cadute. Preparati a combattere dinanzi a questo portale. Io verrò fuori pronto alla sfida. Nessun bastione, nessun reggimento. Solo io e te, le nostre sorti in un’unica battaglia.

Gli parve che la Vedova sgranasse gli occhi dietro l’elmo, colta alla sprovvista dalla proposta. Di colpo, si trovava a poter scegliere di giocarsi la scommessa più ardita. Tutto o niente, la testa del principale di tutti i nemici contro la propria. La sua eventuale caduta forse non avrebbe arrestato l’assedio, ma avrebbe mozzato il capo agli assedianti, concedendo ai difensori una possibilità concreta di sopravvivere. Lei sapeva di avere molto da perdere. Teneva Genes in pugno, non mentiva nell’annunciarne la prossima capitolazione. Ma egli l’aveva sfidata di fronte ai suoi uomini, l’aveva invitata a mostrare coraggio nell’azzardo più audace. Provava a far leva sul suo orgoglio marziale e, soprattutto, sulla sua ambizione. Una donna pronta a rinnegare il proprio uomo e ad accettare il Bacio di Tenebra doveva esserne divorata fino al midollo. C’era solo da sperare che bastasse a soverchiare il suo senso della prudenza…

La Vedova Nera gettò il capo all’indietro e affidò alla notte la sua risata colma di spregio ed esaltazione. La cresta dell’elmo catturò il riflesso della luna, le lame sembrarono animarsi di vita propria. Quando si raddrizzò, i suoi occhi scintillavano sanguigni dietro la celata. Egli vi lesse appagamento, quasi le avesse offerto il più abbordabile dei premi, non solo il più appetibile. - E sia, Estraneo. - ringhiò famelica. - Gratificherò la tua audacia con la mia presenza. Quando la luna raggiungerà il culmine, vieni giù da quelle mura. Mi troverai pronta al duello. Io e te solamente. Sono d’altronde certa che vorrai concedermi un’arena leale. Al di fuori dalla gittata dei tuoi arcieri, al minimo. Distante a sufficienza dalle mie truppe, per corrispondenza. Porterò con me una piccola guardia allo scopo di tutelare la sfida da ogni raggiro. Sei libero di fare lo stesso, se ci tieni.

Il dubbio si torse viscido nella sua gola. Cos’era l’emozione che trasfigurava il volto cereo della donna? Soddisfazione selvaggia, eccessiva. Pensava davvero di poter tenere testa allo Shûn? L’arroganza la rendeva folle a tal punto? Egli non si fidava. Borea non poteva avere messo le sue armate nelle mani di una squilibrata. E allora? Meditò sui versi criptici dell’Oracolo, su quel che non citavano, su quel che nascondevano. Ripensò all’enigmatica bambina dei sogni, ai suoi capelli luminosi. Il sigillo bruciava sulla sua fronte, tetra avvisaglia di tempesta. Il Presagio di Fuoco palpitava occultato dal sudario del futuro prossimo, pronto a essere rivelato. In quel luogo, fra le mura o attorno ad esse.

- Io e te solamente. - approvò. Nel farlo, raccolse i dubbi in una fascina e li arse al fuoco nero del disprezzo e della risoluzione.

                                                   (da La Stagione delle Ceneri - Trilogia dell'Estraneo (vol.2))

    


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