"La foschia si diffuse repentina,
inghiottendo senza distinzione i banchi del mercato, gli strepiti in fondo alla
strada e i lampi nel cielo. Inghiottendo la Mezzana che avevano appena
attraversato.
Mutio
credé di percepire il borgo che mutava nella nebbia. Attraverso il velo
viscido, gli sembrò di scorgere la distorsione progressiva delle forme. O forse
il passaggio era istantaneo e lui era vittima della suggestione. Quel che contava
era che il Mondo era affondato nel Limbo. Strinse
entrambe le mani, la destra sul braccio di Mikael, la sinistra sul pugnale
sguainato. Cercò l'Estraneo con lo sguardo. E non lo trovò.
–
Di là! – Axel indicò un vicolo che dipartiva dalla
piazza. Un’ombra svaniva nella nebbia.
Mutio ed Eusebio lo chiamarono all'unisono. L’ombra
non si fermò. Si sciolse nella caligine, come una stilla d’inchiostro.
Mutio chiamò ancora una volta. Quando l’eco della sua voce svanì nella nebbia, lui si
voltò a spartire uno sguardo sconcertato con i compagni.
–
Se n’è andato. – fra tutti, fu inaspettatamente Mikael a
trovare il coraggio di pronunciare la terribile verità.
–
Seguiamolo, presto! – Mutio si tirò appresso il figlio verso il
vicolo. Gli altri gli vennero dietro senza obiettare.
Il
volto trasfigurato del borgo li colpì con asprezza già dai primi passi. Sin
dalla piazza, dove ai banchi del mercato si era sostituita un’incastellatura di
legno marcio e metallo ossidato, traboccante di escrescenze frastagliate e
rostri ritorti, priva di armonia e di significato. Il selciato intorno era
imbrattato da una morchia rossastra simile a sangue coagulato. La struttura
emanava un fetore organico d’origine indefinita.
La
costeggiarono disgustati per infilarsi nel vicolo in cui avevano visto
allontanarsi lo Shûn, un orifizio nell’anello di costruzioni irregolari che
abbracciava la piazza. Solcarono banchi di nebbia a tratti meno fitta, a tratti
quasi impenetrabile. Mutio avanzava col fiato strozzato e Mikael stretto al
fianco. Seguiva le spalle squadrate di Eusebio che si era piazzato davanti a
tutti, lasciando Lestat in fondo alla fila a coprire l’avanzata con Funerea in
pugno. Axel e Rollo camminavano ai fianchi dell’Alteano.
Cercarono
di rintracciare l'Estraneo e trovarono invece l’orrore del villaggio distorto. Fu peggio
che ad Alavar, poiché qui brancolavano senza una guida, agnelli in un recinto
che puzzava di macello. Il labirinto di vicoli li fagocitò con disarmante rapidità,
perdendoli fra edifici grotteschi partoriti dalla fantasia di un architetto
squilibrato. Costeggiarono case in bilico su trampoli precari, cancelli
spalancati sul nulla invaso di nebbia, scalinate arrampicate sul vuoto. Lungo
il tragitto non incontrarono anima né viva né morta, ma udirono molti suoni
viaggiare per la nebbia, nessuno rassicurante.
Allorché
si arrestarono in una piazzetta fangosa, Mutio udì quello che aveva creduto
essere l’eco dei loro passi persistere nella foschia. Riverberò intorno a loro,
avvitandosi in una specie di risata chioccia, prima di volatilizzarsi. Un’ombra
spiccava in mezzo alla piazza. Vi si avvicinarono con cautela, sperando potesse
essere la loro guida o perlomeno un indizio per poterla ritrovare, temendo in pari
misura fosse un abitante di quella città da incubo.
Era
un cippo di marmo eroso, alto fino al petto. Terminava con un capitello sulla
cui cima era stata collocata una clessidra. La sabbia scorreva, dal lobo
superiore ancora pieno a quello inferiore semi-vuoto. Era stata appena capovolta.
Mutio
si guardò attorno. Altre ombre aleggiavano all’imbocco delle viuzze che si
allontanavano dalla piazzetta, o forse si trattava solo della nebbia che li
beffava. La sabbia continuava a scorrere nel vetro. Che scopo aveva la
clessidra su quel cippo? Chi l’aveva girata? Perché? Simone cominciava a
intuire in che misura l’assurdità fosse connaturata in quel luogo. Un’assurdità
disturbante.
– L’abbiamo perso.
– dichiarò Eusebio in tono lugubre. – E ci siamo
persi anche noi."
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