Galèria
studiò con scrupolo il piglio di Axel accosciato sulle gambe magre e pelose.
“Ti
senti davvero pronto?” gli domandò in tono gentile.
Axel
assentì con il capo.
Galèria
esitò ancora un attimo nell’incrociare i suoi occhi schietti sotto l’arco folto
delle sopracciglia aggricciate. Non dubitava dell’onestà del suo discepolo.
Axel aveva un modo così trasparente di far trapelare le proprie emozioni che non
sarebbe riuscito a mentirle neppure volendo. I dubbi li nutriva piuttosto nei
confronti di se stessa, della bontà del giudizio che l’aveva indotta a chiedergli
di provare. Ormai era deciso, l’incertezza avrebbe soltanto complicato le cose.
“Cominciamo.”
disse.
Axel
spezzò in due la radice bulbosa e se la ficcò in bocca. Iniziò a masticarla
rumorosamente. Galèria posò sull’erba la grossa ciotola ricolma d’acqua; una
rozza ragnatela di rune era incisa sulla terracotta. La Maestra fece un cenno a
Moonz che scivolò alle spalle di Axel e gli posò le mani grifagne sulla testa.
Come la proprietà narcotica della radice trattata iniziò a fare effetto, le
palpebre si rammollirono sugli occhi di Axel: non calarono del tutto, ma si
fermarono a mezz’asta, scosse da un fremito costante. Galèria salmodiò i versi
rituali e toccò il pelo dell’acqua con la punta delle dita. Arretrò di un
passo, senza smettere di mormorare. Axel divaricò le dita e sospese le palme
sulla ciotola. Anche lui salmodiava adesso, sebbene la barba nascondesse il
movimento delle labbra; sputava pezzetti di radice dalla bocca piena che
finivano intrappolati fra le ciocche aggrovigliate. Solo Moonz restava in
silenzio. Gli occhi del mezz’orchetto erano due fessure oblique; lentamente, un
bagliore spettrale prese a emanare da essi, azzurrino quanto il cielo del primo
mattino.
Axel
curvò le spalle in avanti, finché il riflesso del sole sull’acqua non fu
sostituito da quello del suo volto distorto. Sottili increspature continuavano
a perturbare la superficie liquida: svanivano e si riformavano al ritmo del
salmo sussurrato, prodotte da una misteriosa forza magnetica. Ben presto il
lucore degli occhi di Moonz si trasferì allo spazio fra le mani di Axel e
quelle minuscole onde. Un riflesso cremisi si fuse all’azzurro, generando un
alone violetto. I glifi arcani incisi sulla terracotta palpitarono come braci
attizzate. Galèria osservò il fenomeno e fremette in apprensione.
“Ora,”
bisbigliò, “apri la tua mente.”
Axel
emise un suono strozzato, come se qualcosa gli si fosse incastrato in gola.
Durò un attimo, il tempo di riprendere la litania. Le sue spalle si
afflosciarono, il mento gli ricadde sul petto. Le sole palpebre socchiuse
continuavano a vibrare ad alta frequenza mentre lui scrutava l’acqua nella
ciotola avvolta di vampe fatue e, attraverso di essa, oltre i veli del tempo e
dello spazio.
Galèria
strinse forte in pugno una pietra smussata con una singola runa scolpita nel
mezzo. Provò a sintonizzarsi sul canale aperto dal suo discepolo ma invano.
Aveva proposto ad Axel di farsi tramite del Potere incontaminato messo a
disposizione da Moonz per tentare là dove lei stessa aveva fallito: stabilire
un contatto con i Fratelli della Luce oltreoceano. Nonostante il controllo
rudimentale e spesso istintivo che aveva delle proprie facoltà, Galèria nutriva
enorme considerazione delle doti mistiche di Axel. Sperava che le sue risorse
latenti, alimentate da Moonz e regolate dal proprio intervento esterno,
potessero lacerare il sudario d’ombra teso a occidente e raggiungere Mighal.
Purtroppo però la pietra restava fredda nella sua mano e ogni suo tentativo
d’innestarsi nel flusso generato veniva frustrato da un’oscura interferenza di
sottofondo.
Unghialunga
seguì il rituale raggomitolato. Il suo pelo screziato era ritto e traversato
dalle onde empatiche che condivideva con Moonz. Il gatto selvatico era il
famiglio del mezz’orchetto: lo aiutava a stabilizzare il flusso di Potere
compensando, tramite un’intima simbiosi, la sua inclinazione a manipolarlo in
funzione dell’istinto. Altri animali fecero capolino dagli anfratti della
foresta, attirati dalla luce. Assistettero al salmodiare di Galèria e all’esercizio
curioso dei suoi adepti.
Fino
all’urlo che li fece ritirare impauriti.
Galèria
gettò via la pietra d’un tratto rovente.
Sono
stata una sciocca imprudente! si rimproverò con un groppo alla gola, pronta
a vedere Axel stramazzato al suolo.
Era
stato invece Moonz a gridare. Col capo rovesciato all’indietro e le fauci
zannute ancora spalancate, il mezz’orchetto aveva strattonato la lunga chioma
di Axel. Un passo indietro, e la creatura si staccò dal compagno portandosi
dietro una manciata di capelli incrostati. Galèria si precipitò su Axel piena
di sgomento. Il contatto era stato spezzato, non c’era un attimo da perdere! Lo
afferrò per un braccio e lo scosse con vigore. Con sua somma sorpresa, Axel
fece resistenza: si liberò con uno strattone e digrignò i denti senza sollevare
le palpebre contratte. Moonz arretrò barcollando finché s’accasciò seduto sull’erba.
“Axel,
interrompi! Per l’amore di Dio.”
“N-n-no!”
Lo
sforzo che fece per risponderle senza uscire dal regime di parziale catalessi
lasciò Galèria senza parole. Lo vide curvare le dita nella forma di artigli
artritici nel tentativo di mantenere il controllo sul bagliore rosso e blu che
si torceva sibilando sulle increspature dell’acqua. Axel si era fatto tramite
dell’energia di Moonz, il Potere di un Kazhum A Teara. Persino il Venerabile
Mighal era stato solito diffidare della procedura che rendeva un semplice
umano, per quanto addestrato nell’arte, vettore del Potere più puro. Galèria aveva
studiato per anni il fenomeno ed era giunta alla conclusione che, sottoposta a
vincoli stringenti, la pratica era realizzabile. Rammentava decine di occasioni
in cui lei e il suo vecchio Maestro avevano dissertato anche animatamente sui
rischi correlati alla sua attuazione. Ma ora Axel aveva interrotto il legame
diretto con il serbatoio energetico. Si torceva squassato da un parossismo di
spasmi interiori, nello sforzo di dominare autonomamente quell’energia raffinata.
Santo
Dio, no! Finirà per ucciderti!
Galèria fece di nuovo per strapparlo
alla catalessi ma qualcosa la fermò. Fu la sensazione dell’occhio
chiaroveggente di Axel che s’acuiva oltre i limiti umani, irrorato dal Potere
di Moonz. Lo sentì bucare come uno strale la tetra, impalpabile foschia che
permeava l’aria.
Un
borbottio liquido. La ciotola esalò i vapori dell’acqua in ebollizione.
Axel
spalancò le palpebre sulle sclere iniettate di sangue; le iridi erano scomparse
nell’incavo delle orbite.
Galèria
non poté più indugiare. Capovolse la ciotola con un calcio, spedendo l’acqua a
ribollire nell’erba. Axel fu scosso da uno spasmo violento. Rigurgitò il bolo
nero della radice semi-masticata. La Maestra lo afferrò per le spalle che
tremavano senza controllo.
“Axel,
per l’amor di Dio! Axel!”
Galèria
si cavò frettolosamente di tasca una fiaschetta di legno. Fece saltare il
turacciolo con l’unghia del pollice e costrinse Axel a trangugiarne il
contenuto.
Lentamente,
i suoi occhi tornarono a raddrizzarsi. Una pellicola di sudore viscoso gli
ricopriva ogni palmo della pelle bollente. Tremava come in preda alla febbre e
un rivolo di sangue gli colava dal naso. “Ma-ma-estra…” balbettò.
“Axel,
calmati, è tutto finito,” Galèria lo abbracciò con un singhiozzo, “tutto
finito. Perdonami, sono stata un’incosciente a chiederti di provare.”
“Ma-e-stra…
ho ve-duto…”
“Taci,
per carità. Non devi sforzarti ancora.”
Axel
scosse piano la testa e lottò per articolare le parole: “Un va-scello… solca il
mare so-li-tario…” Deglutì con una smorfia aspra. Quando riprese a parlare la
sua voce era più fluida, benché al limite dell’udibile. “Viaggia alla deriva…
le vele strappate, lo scafo scrostato… un vessillo nero privo d’emblema
sventola sull’albero maestro… S’incaglia sulla riva… e nessun equipaggio sbarca…
ma un’ombra… un’ombra…” s’interruppe con un rantolo.
“Axel!”
Galèria pensò che non ce l’avrebbe fatta a continuare. Moonz barcollò al loro
fianco. Unghialunga lo fissava con gli occhi verdi e gialli sbarrati, le
pupille ridotte a due fessure verticali. Il mezz’orchetto cadde in ginocchio,
la testa penzoloni.
“Un’ombra
di morte…” Axel sembrò radunare le forze residue per proseguire. “Si stende
dalla nave… sommerge la costa… sommerge alberi e montagne… fiumi e villaggi…
città… Precipita verso di me… ho paura, non posso muovermi… Poi odo una voce…
mi chiama, mi chiama… ma io non posso vedere… cieco di tenebra e di…
smarrimento…”
“Conosci
quella voce?”
Axel
scosse impercettibilmente la testa. “No… eppure mi chiama e io… io…” le parole
s’impigliarono nella lingua, “…io non posso decidere di non andare… mi trascina
verso l’oscurità che ricopre il… cielo… Il sole si spegne… la luce muore… e
poi…” i suoi occhi maculati di capillari esplosi si riempirono dell’immagine
della visione testimoniata.
“E
poi?”
“Poi…
poi…” le labbra di Axel cominciarono a tremare, lacrime dense gli rigarono le
guance barbute. “Poi il nulla…”
“Che
vuol dire il nulla?” Galèria sentì un vuoto gelido farsi strada nel suo
stomaco.
“Il
nulla.” Adesso Axel piangeva e tremava rannicchiato come un bambino. “Solo un
unico immenso crepuscolo perdurante…”
Galèria
lo strinse a sé e nascose nella sua spalla il proprio volto affrescato dal
terrore.
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