sabato 17 dicembre 2016

Meet the Characters - Eusebio

Rassettando un po' di materiale nel cassetto, mi sono ritrovato tra le mani alcuni disegni relativi alle mie opere. Alcuni sono miei, lavori senza alcuna pretesa artistica realizzati spesso su carta a caso con mozziconi di matita giusto per conferire un'immagine a quello che avevo in testa; altri sono opera altrui, ma il tema è lo stesso, ovvero per lo più l'abbozzo di qualche personaggio.

Ho pensato di postarne qualcuno, accomunandovi un passaggio narrativo. Procedendo in senso inverso alle pubblicazioni, parto con uno dei protagonisti de "Il Richiamo del Crepuscolo", ovvero Eusebio 'EVX' da Frennes.

.....

Non esisteva un momento esatto in cui poteva accadere. Più che una reminiscenza stimolata da qualcosa - un dettaglio osservato, un odore percepito, un suono udito - era un riflusso rimestato dal pozzo torbido della memoria. Gli accadeva al mattino appena svegliato o alla sera, quando giaceva nell’anticamera spesso tormentata del sonno. Gli accadeva da solo o fra la gente. Talvolta, gli accadeva perfino mentre era immerso nella meditazione della preghiera. Come adesso. L’irritazione che provava in quei casi contro se stesso non serviva a conservare la concentrazione nel suo intimo dialogo con Dio.

Sciolse le dita intrecciate in grembo con le orecchie vibranti dell’eco di un clamore fantasma. Urla e applausi, imprecazioni e versi selvaggi amplificati dalle migliaia di gole schierate tutto attorno. Un’ondata fisica che premeva sulla pelle, disarticolata e altalenante, resa omogenea soltanto dalla forza del getto incessante. E nella ridda di fragori brutali, esplodeva come un bolo d’aria compressa il suo nome di battaglia.

Eux, Eux…

Il rullo di un tamburo, il motivo ossessivo di un inno cupo.

Eux, Eux, Eux…

Si portò le mani davanti al viso. Il dorso ruvido era un campo di cicatrici attorcigliate. Una gli serpeggiava biancastra sulla sinistra, dal polso fino alla base del mignolo, dove il colpo che gliela aveva inferta aveva distrutto il tendine riducendogli il dito a un’estremità rattrappita di cui non aveva più controllo. Nei pressi, il profilo di due nocche adiacenti non era più visibile a causa delle ripetute fratture che gliele avevano sbriciolate. Stessa sorte era toccata a più della metà delle giunture della mano destra, martoriata dai colpi vibrati prima ancora che da quelli subiti. Quando il clima mutava, quando l’aria s’appesantiva d’ozono e l’umidità colmava gli spazi, il dolore era una sfilza di ganasce che gli mordevano il corpo. Le mani, le ginocchia, il collo, la testa. Le vecchie ferite gli bruciavano ovunque, le articolazioni si riempivano di vetro macinato e la carne s’incendiava. Ma non ci faceva ormai più tanto caso. Era abituato al dolore, da quando era nato. Stringeva un poco più i denti, indurendo la maschera perennemente tesa del volto, e tirava avanti. Allorché le voci fantasma gli rimbombavano nelle orecchie, tuttavia, qualsiasi cosa stesse facendo, Eusebio si fermava a ricordare.

Eux, Eux…

Era incredibile la vividezza con cui riusciva a rievocare le sensazioni: la carezza viscosa del sudore misto a sangue che gli cola sulla pelle, la raffica degli schiamazzi sugli spalti, la terra sotto ai piedi, ora soffice di sabbia, ora più spoglia e dura, sovente viscida di fluidi spillati. E il suo respiro, ritmo della vita che lotta per preservare. Dapprima regolare, poi rotto dall’affanno e dalle fitte lancinanti. Il ritmo del fiato che esala tra i denti, fulcro primario della sua concentrazione. Batte il tempo di ogni movimento, scandisce il fluire del sangue nelle vene. In qualsiasi circostanza egli si trovi, torreggiante sull’avversario ormai esanime o prostrato nell’angolo cieco dei troppi colpi incassati, è il ritmo del respiro l’ultima briglia su cui deve mollare la presa. Così gli è stato insegnato. La sanzione del vantaggio e la speranza del capovolgimento di fronte, entrambe le facce della moneta passano per il fischio cadenzato che riesce a incanalare tra la gola e il palato.

Non esisteva un momento esatto in cui si metteva a ricordare, ma c’era un giorno preciso a cui più spesso finiva per tornare. Mai come allora s’era aggrappato a quella lezione preziosa. Ma mai come allora gli era stato difficile onorarla, col naso distrutto e ricolmo di sangue e cartilagini frantumate che parevano volergli scendere nella gola ogni volta che provava a respirare. Ricordava il verso lugubre dei gabbiani che si spingevano sin lì dal porto, attratti dalla speranza d’un banchetto diverso dal solito, e il ruggito invasato degli spalti ridotto a un riverbero ovattato dal ronzio che gli trapanava le orecchie. Ululavano assettati di sangue, affatto sazi di quello che già intrideva l’arena rischiando di farlo scivolare mentre muoveva passi sbilenchi sul ginocchio slogato. Ricordava come una sensazione estranea la pressione del braccio sinistro che teneva schiacciato al busto per proteggere il costato fratturato. Ciondolava dilaniato dalle fitte, un occhio accecato dal sangue e intarsiato da una raggiera di lacerazioni.

E il suo primo pensiero, come sempre, era stato: respira, regola il respiro, respira, regola il respiro…





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