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a candela brucia discreta spargendo una luce soffice sulle pareti e sul
basso soffitto. La fiammella si specchia sulla cera liquefatta raccolta in cima
e trattenuta dall’orlo irregolare. Ogni tanto una stilla lo scavalca e rotola
giù in una scia che si solidifica veloce attaccandosi al fusto ceroso, cosparso
sempre più di globuli coagulati. Il giovane osserva le gocce debordare, le
osserva congelarsi nella breve discesa. Le osserva per non pensare alla
tensione che gli preme dentro.
Ha mani e piedi freddi. Eppure
la notte è calda, l’estate matura intiepidisce la brezza sulle colline. Il
profumo carico del gelsomino filtra attraverso le imposte socchiuse, ma lui
percepisce forte l’odore del proprio corpo, in un modo che non ricorda di avere
mai sperimentato. Freddo e caldo, profumo e odore, ma soprattutto desiderio e
timore. È la notte dei contrasti, delle sensazioni discordanti. Eccitazione e
smarrimento. È la notte che tanto aspettava. Forse da sempre.
La porta si apre con un
cigolio lieve alle sue spalle, quasi non volesse turbare le sue riflessioni. Un
suono di passi leggeri. Passi piccoli, che tradiscono un’inconsapevole
impazienza. Tradiscono anche incertezza? Gli sembra di sì, ma non può dire se
sia solo la sua immaginazione. Crede di sì.
Si avvicinano, lo aggirano, si
arrestano. Lui alza gli occhi sulla figura minuta. Il fieno del materasso su
cui è seduto fruscia sotto le sue gambe. Il cuore, momentaneamente dimenticato,
comincia a battere veloce e leggero, come l’ala d’un uccellino. E da uccellino
gli appaiono gli occhi della giovane, fissi nei suoi. Sembra una bambina,
timida e spaurita. La veste che indossa, semplice e sottile, si adagia sulle
forme delicate del suo corpo attenuandole. Lei sembra accorgersi dei pensieri
che lo attraversano e, forse colta alla sprovvista, irrigidisce i lineamenti.
Non importa quanto si sforzi, pensa lui con un sorriso segreto, non può
mascherare l’agitazione. Né la sua profonda emozione.
Lei reca un fiore tra le dita,
un giglio dai petali carnosi, d’un giallo tenue. Glielo porge.
– Per te, mio sposo.
Lui esita, indugia sul suo
sguardo concentrato. I suoi occhi scuri paiono alimentati da una sorgente
recondita, che tuttavia lui può raggiungere e ammirare poiché nessuna barriera
glielo impedisce. Per un attimo ha paura di quel che vi legge, paura di sbagliarsi,
d’interpretare con troppa speranza la loro luce. Il rischio d’illudersi lo
atterrisce. Paura e trepidazione: sono il riflesso dei suoi stessi sentimenti.
In quell’attimo le gambe gli tremano, il respiro gli muore in gola. Lei lo
guarda sorpresa. Gli allunga di nuovo il fiore. Lui si riscuote e lo riceve.
Sfiora la corolla con il naso, ne inspira la freschezza. Questo lo fa sentire
meglio e insieme gli provoca una dolce vertigine. Adagia il giglio sul cuscino
e la guarda sorridendo.
– Oggi sei diventata mia sposa
dinanzi agli dèi e dinanzi agli uomini. Questa notte, ti chiedo, vuoi essere
sposa dinanzi a quest’uomo, nel corpo e nell’anima?
Un fremito le increspa il
viso. La luce negli occhi tremola, la sua bocca si schiude. Poi un sorriso
dolce le incurva le labbra. Si china su di lui, gli posa una mano sulla fronte.
È tiepida. La scollatura ricamata della veste si affloscia e lo scintillio di
un pendaglio si manifesta tra le pieghe.
– Ho un po’ paura – bisbiglia
nell’intimità d’una segreta confessione. La mano scivola dalla fronte, la punta
delle dita sfiora gli occhi, il naso, la bocca. I polpastrelli carezzano la
linea delle labbra. Lui li bacia.
– Anch’io – le sussurra con un
sorriso.
Lei sembra confortata da
quell’ammissione. Gli posa le mani sulle guance, poi le fa scorrere tra i
capelli, nell’incavo nascosto della nuca. La punta dei loro nasi quasi si
tocca.
Timore e desiderio, emozione e
smarrimento…
– Chiedimelo ancora – l’alito
di lei gli sfiora la bocca.
Lui l’abbraccia. La sente
tremare, sembra davvero una bambina. Le posa un bacio leggero sul collo, dietro
l’orecchio.
– Vuoi essere mia sposa
stanotte, nel corpo e nell’anima?
Un istante ancora di tensione,
poi il suo corpo si lascia andare. Lo guarda negli occhi e sorride. Lui fatica
a focalizzare il mondo attorno a quel sorriso. È come se loro due fossero il
soggetto di un quadro: null’altro ha importanza oltre la cornice che li
racchiude.
– Tua sposa, sempre…
La camicia gli scende oltre le
spalle muscolose, trascinata dalle sue dita affusolate. Il giglio d’argento gli
balugina sul petto nudo alla luce della candela. L’attira a sé e le loro labbra
si trovano, si uniscono, si scambiano il respiro.
E mentre la notte isola dal
mondo il loro nido, benedetta da un’estate carica di promesse, i due amanti si
congiungono, in quel modo che tutti conoscono ma che a tutti ogni volta reca
meraviglia. La tensione si scioglie in lui come neve acerba al sole d’autunno,
si mescola al desiderio e al sentimento, al piacere che sembra liquefargli la pelle
stessa. Ma c’è di più. Mentre il corpo di lei si lega al suo, si accorge di
percepire le sue sensazioni come mai aveva creduto di poter fare. La loro
unione è un doppio filo su cui si scambiano le emozioni. Sente l’anelito che la
pervade, l’ardore che non può contenere; sente la paura, la forza con cui lo
respinge aggrappandosi ai suoi lombi e alle sue braccia; il dolore, interiore,
privato, lancinante, della verginità perduta, un dolore che la ferisce ma che
già la passione porta via, lavandolo con il sangue che le scivola tra le cosce.
Scosso ed esaltato, sente il cuore dell’uomo sovrapporsi a quello della donna,
fondersi nella sintonia d’un battito comune, il cuore dello sposo e quello
della sposa, congiunti in un unico sentimento.
Il groviglio delle emozioni si
dipana e trova un nuovo, più armonico intreccio, al quale i due amanti si
abbandonano senza remore e, finalmente, senza più alcuna paura. Li trascina in
crescendo verso il suo apice delirante. Lo raggiungono, e lei grida senza più
capire dove finisca il dolore e cominci la dolcezza di quel piacere infinito;
lui le fa eco rilasciando le briglie dei sensi impazziti. L’odore del muschio
li ubriaca, l’odore dei loro corpi avvinghiati…
Lui le liscia i ricci sudati
mentre lei gli posa la guancia sul petto madido di sudore. Ascolta i battiti
del suo cuore, che stenta a rallentare. È sfinito, nel fisico e nello spirito.
Non aveva mai avuto un’esperienza così coinvolgente. Ora giace rilassato, con
la bocca impregnata del sapore di ciò che è stato. E intanto un nuovo
sentimento gli affiora nel cuore: il senso melanconico di perdita che sempre lo
culla quando i legami di carne sono sciolti e lo spirito si ritira. È
l’inesprimibile percezione del vuoto che sa di non poter in alcun modo colmare,
è al tempo stesso struggimento e nostalgia, come di un luogo visitato e ormai
lontano, l’impronta di un sogno ineffabile vivo solo nella memoria. Gli tocca
l’anima con dita dolci e amare. È così, come sempre, ma è anche diversa.
Diversa da tutte le altre volte in cui ha giaciuto con una donna, le decine di
volte in cui ha pagato l’amore illusorio di una prostituta tra le lenzuola unte
di un postribolo nei sobborghi di Lum. Non lo circondano il puzzo stantio del
bordello, il vociare dei clienti, il fumo, i rumori frettolosi. La fragranza
dei campi trasportata dal vento stempera l’aroma pungente dei loro corpi
sudati. Ma non è quello a risparmiargli la nausea stordita che ogni volta ha
seguito le sue notti di piacere, una sorta di fastidio per quanto compiuto. È
il tepore che gli riscalda il cuore a rendere tutto diverso. È lei.
– Mi sento come… –
All’improvviso sente di dover parlare, di dover esprimere la verità che gli
balza alla mente. – Come se fosse la prima volta. – La voce gli vacilla,
avverte uno strano formicolio al cuore.
Lei volge gli occhi verso i
suoi senza scostare il viso dal petto. Tradisce stupore e imbarazzo.
– È come se non lo avessi mai
fatto, – continua lui, – come se stanotte per me fosse tutto nuovo.
È sincero, in quel modo
spontaneo che a volte, in rari momenti di magica serenità, alle persone capita
di essere. Lei lo comprende, glielo legge nello sguardo, e nel rossore pastello
delle gote. Gli circonda il collo con le braccia esili e gli bacia il petto.
Sta per dire qualcosa, se lo sente. Trattiene il respiro, in attesa.
– Voglio che tu diventi il
padre dei miei figli – sussurra. – Lo voglio più di ogni altra cosa gli dèi
possano offrirmi in questo mondo. – I suoi occhi paiono più grandi mentre lo
guarda. Gli angoli della bocca si alzano piano incurvandole le labbra in quello
che a lui sembra il più tenero dei sorrisi. E con quel sorriso lei
s’addormenta.
Lothar resta sveglio e la
rimira. Il viso liscio svela inconsapevole i segni di una grande stanchezza,
figlia delle energie fisiche e nervose bruciate. Tuttavia esprime anche immensa
serenità, un’emozione quasi sacra. Al buio della stanza, con la candela ormai
spenta e fredda, lui potrebbe giurare che la sua pelle emani addirittura un
lucore tenue.
– M’accorgo che t’amo –
bisbiglia alla donna sopita. Le labbra di lei si muovono, si lasciano sfuggire
un sospiro, quasi l’avesse udito. – M’accorgo che t’amo, ora, più ancora di
ieri, quando pensavo incredibile potermene ancora stupire. E allora forse
sempre me ne stupirò.
Chiude gli occhi. Le palpebre
si afflosciano pesanti, i muscoli si allentano con un brivido di soddisfazione.
In quell’istante tanto speciale, Lothar compie due scoperte. La prima è che si
trova nell’unico posto in cui, da quando è nato, ha sempre inconsciamente
desiderato essere. L’altra è più amara e gli riverbera nello stomaco come un
malessere subdolo. Scopre che esistono momenti nella vita tanto preziosi e
coinvolgenti che il loro ricordo provoca dolore già prima che si siano
esauriti, che la memoria fa male prima ancora di aver avuto il tempo di
tramutarsi in rimpianto.
La considerazione lo coglie a
tradimento, instilla ansia nel suo momento di tranquillità, goccia di fiele in
una coppa di latte. Prova a respingerla, dicendosi che c’è sempre la
possibilità di tornare a viverli, concretamente, non solo nei luoghi nostalgici
della memoria. Riesce a rasserenarsi grazie ai suoi ventun anni e
all’invincibile ottimismo che comportano. Si sbaglia, ma non può saperlo. Si
sbaglia perché così il Destino ha deciso. Ma soprattutto si sbaglia perché non
capisce che la felicità è materia di attimi e che certi attimi sono
inestimabili come giaietti in una pietraia. E lui imparerà a vivere in quella
pietraia.
Riapre gli occhi, allarmato
dall’improvvisa, folle idea di trovarsi nel letto da solo, prigioniero dei
propri sogni.
Lei è ancora lì: il suo petto
si alza e si abbassa al ritmo placido del respiro, la guancia premuta sulla sua
pelle nuda.
– Helena – chiama piano.
La ama di un amore così
intenso che ogni tanto pensarci lo spaventa, poiché sa che potrebbe morire di
tanto amore. Stavolta pensa il vero. Si riferisce alla morte fisica, ma esiste
una morte più oscura, che è inizio e non fine del dolore, che è strazio
continuo, pena che si trascina dietro il corpo, supplizio per lo spirito. La
ama e crede di sapere quanto potrebbe soffrire. Eppure il dolore è infame, può
sorprenderti ogni giorno svelandoti nuovi abissi e nuove afflizioni. La ama e
per un attimo si rende conto che potrebbe giungere persino a odiare per lei…
La ama, la ama…
Così si addormenta".
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