"Loïc Tissier
congedò con un sorriso artefatto lo scrivano cui aveva appena dettato gli
ultimi capoversi del rapporto sanitario da spedire a Saëgata. Il ghigno,
cortese ma privo di allegria, permase come un crampo sul suo viso scavato anche
quando l’attendente si fu chiuso la porta alle spalle, lasciandolo solo nella
stanza modesta che costituiva la sua accomodazione privata in quel paesello
sperduto alle falde delle montagne.
Si alzò in piedi, fece scorrere il
chiavistello alla porta, tirò le tende davanti alle finestre. Agì con la calma
metodica che gli era solita, senza fretta. Mise ordine fra le poche cose che
attrezzavano il piccolo scrittoio ad angolo. Ne abbassò la saracinesca e si
guardò allo specchio appeso di fronte. La superficie unta e la penombra
addensavano la sfumatura delle occhiaie profonde. Sbottonò lentamente la
camicia fino a scoprirsi il petto magro. Il sorriso contratto tremolò. La pelle
pallida, sudaticcia nonostante il clima rigido della primavera pedemontana, era
deturpata da piccole piaghe purulenti. Si annidavano a grappoli sotto le
ascelle e fra i ciuffi di peli ferrigni che gli incoronavano i capezzoli. Erano
circondate da un’aura cinerina dove la pelle tendeva a squamarsi scabbiosa. Era
cominciato da un paio di giorni e procedeva come sempre a buon ritmo. Si toccò
un angolo della bocca, dove la carne aveva iniziato a sfarinare. Aveva già
individuato altri focolai nelle zone genitali e tra le dita dei piedi. Il
bruciore che gli pizzicava la narice sinistra lo informava dell’ennesimo nucleo
d’infezione attivo. Le labbra furono scosse da un tremito. Le incurvò in una
smorfia aspra, come se avesse ingollato una pozione dal sapore pungente.
Reinserì uno a uno i bottoni della camicia
nelle asole, sempre con lo stesso scrupolo quasi maniacale. Puoi travisare un
sintomo, soleva dire il suo precettore di epidemiologia all’università di
Saëgata, lo puoi trascurare… ma non puoi fingere di non averlo visto senza
ingannare la tua onestà intellettuale. Ne aveva visitati troppi per illudersi.
Ne aveva fatti rinchiudere a decine nel confino spietato della quarantena.
L’incubo di quello che aveva visto e udito oltre i recinti di segregazione
l’aveva privato del sonno delle ultime settimane. Disperazione, violenza e…
Deglutì a vuoto, deciso a non dragare il
fossato putrido della memoria. Aveva udito voci di quarantene date alle fiamme
nei pressi dei valichi occidentali. I soldati, morti, contagiati o più
semplicemente fuggiti, non erano più in grado di tenere testa alla situazione.
La pressione dei profughi che attraversavano la Cordigliera aumentava di giorno
in giorno.
Sarebbero giunti presto alle stesse
drastiche contromisure anche laggiù.
Aprì la cesta di vimini sotto la
scrivania. Ne estrasse un foglio di pergamena arrotolato e assicurato da uno
spago sigillato con la ceralacca. Lo posò con delicatezza sulla cima della
saracinesca abbassata. La smorfia in cui s’era trasformato il ghigno iniziale
era adesso stata sostituita da un sorriso rilassato, pregno di amarezza e
solitudine. A parte la pergamena, il cesto conteneva un altro oggetto ripiegato
sul fondo. Un rotolo di fune robusta, la cui estremità aveva annodato a cappio
nelle ore più buie della notte. Ne accarezzò per qualche istante la sinuosità
ruvida, prima di tirarlo fuori.
Pregò gli dèi affinché avessero
misericordia di coloro che fossero stati chiamati ad arginare quella pazzia,
intanto che faceva scorrere la fune sulla trave portante del soffitto."
(da Il Richiamo del Crepuscolo - Trilogia dell'Estraneo (vol.1))
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