mercoledì 13 marzo 2019

Carne e sangue...

"Lestat stava molto male. Lontano dalle sue orecchie, Uldrich aveva bisbigliato dei tremori e degli scatti improvvisi che l’avevano afflitto durante la caccia. Per un po’ l’infuso di Axel sembrò giovargli. Ridusse i tremiti e la sudorazione fredda. A detta di Lestat, mitigò anche la nausea. Ma si trattava di un palliativo improvvisato, per produrre il quale Axel si era ingegnato con quel che aveva, facendo appello a una buona dose di immaginazione nel calibrare gli ingredienti. Tutto sommato, i risultati di quel primo esperimento furono discreti. Prima del tramonto, purtroppo, ricominciarono le crisi.

Contrazioni spastiche. Conati che lo costringevano a rigurgitare residui di cibo e succhi gastrici. Sudorazione copiosa, dall’odore acre. Dolori ai muscoli e fitte alle articolazioni. Lestat resistette stoicamente, senza mai lamentarsi. Assorbì gli sguardi preoccupati dei compagni con un sogghigno tetro sulle labbra umide di saliva. Fino a che il giorno non cominciò a morire e Mutio condusse la Heidi nei pressi della sponda, dove attraccare per la notte. Non avevano percorso molta strada dal Cuore d’Altea. La brezza fiacca li aveva sospinti a rilento, poco assistita dalla corrente placida delle acque pressoché stagnanti. Per Lestat, viceversa, il viaggio era stato lungo e tutto in salita.

– Basta! – decretò all’improvviso, sollevandosi in piedi nonostante l’evidente balbettio delle ginocchia. Fece sfilare gli occhi iniettati sui compagni, da quelli intenti a gettare l’ancora, agli altri che ammainavano le vele o semplicemente osservavano la sponda all’imbrunire. Finì per piantarli sull'Estraneo. – Voglio sapere se questo maledetto calvario ha un senso! Esiste una cura per la peste che mi divora? Esiste un motivo per andare in fondo a questo viaggio? Un motivo per me, io voglio sapere, non per te! – Snudò Funerea con rabbia; barcollò, sbilanciato dal movimento goffo. Nel riprendere l’equilibrio, puntò la spada contro il petto dello Shûn. – Per me, non per te, pastore di anime perse. La nostra vittoria, semmai è possibile, mi guarirà dalla malattia? Dimmelo!

Nel silenzio pesante, la risposta dell'Estraneo viaggiò diretta e priva di inflessione: – Non lo so. Esiste l’eventualità che l’infezione dell’Ohra Ni Kahlos sia irreversibile e che noi si possa solo porvi termine, salvando quel che è ancora salvabile.

Funerea tremò e così fecero le parole del conte: – Stai dicendo che, nonostante tutti i sacrifici, io potrei essere un malato terminale? – Di colpo, i suoi lineamenti scavati si accartocciarono in una risata aspra. – È questa la verità, alla fine? –   Rise ancora più forte. – Gli hai ordinato di prepararmi quella tisana solo per rendermi capace di andare avanti con la mente, sperando che il corpo non imputridisca prima? T’interessa che si compia la tua maledetta profezia, con tutti i capri al tuo servizio. Dopodiché, io posso anche andare alla malora…

Abbassò Funerea lungo il fianco. Prima che la punta toccasse le assi della tolda, la scagliò oltre il parapetto. Un tonfo pesante: la bastarda s’inabissò nella melma. Lestat scavalcò il parapetto e affondò fino alle ginocchia nell’acqua della riva. Raggiunse la sponda con passo affaticato. Là si fermò, forse intimorito, forse invece attirato, dalla tenebra che si raccoglieva fra gli alberi.

L'Estraneo scese a sua volta. Si mosse con flemma, immerse un braccio nell’acqua, lo ritirò su. Rivoli torbidi scolarono dalle ametiste dell’elsa e dalla lunga lama. Lestat riprese a muoversi, verso l’ombra.

Lestat de Montreuil!

Il richiamo dell'Estraneo non ebbe niente dell’indolenza dei suoi movimenti, né della neutralità con cui si era espresso pochi attimi prima. Fu una frustata che il conte dovette sentire sulla schiena, giacché si bloccò.

– Te l’ho detto a Château Montreuil e te lo ripeto ora. Non è una scelta quella che hai di fronte, non t’illudere. Il Destino ha deciso, non io. Il Destino ha commissionato la sua profezia all’Oracolo, il Destino ha eletto i capri e il pastore. Il Destino ha persino concesso ai nostri nemici le armi con cui combattere.

Avanzò nell’acqua stagnante. Fece crepitare il pietrisco e le canne dell’argine, non si fermò finché non fu a un passo da Lestat.

– Non ho scelto io di trovarmi qui, –  continuò in tono aspro, – non più di voi.

Gli sbatté Funerea tra le braccia. Lestat ne afferrò l’elsa a crociera, ammiccando alla fanghiglia che l’imbrattava. – Non puoi chiedermi…

– Non te lo sto chiedendo io! Lo capisci o no? Lo capite tutti quanti? – Rivolse uno sguardo di fuoco ai compagni affacciati sulla Heidi. – Non ho deciso di essere qui e non ho deciso che lo siate voi. Se qualcuno vuole maledire a squarciagola l’infame Destino, si faccia avanti. Avrà tutta la mia comprensione. Ma, ve lo dico subito, sprecherà soltanto la voce. – Artigliò il colletto di Lestat con tutte e due le mani e lo strattonò a un palmo dal viso, per ringhiargli in faccia: – C’è un bambino di dieci anni su quella barca. Credi che abbia scelto io di spingerlo nell’abisso? È questo che credi?

Lestat sostenne lo sguardo, ma le sue palpebre tremolarono.

– C’è anche l’uomo che chiami fratello. L’hai convinto ad affrontare i suoi fantasmi per capitolare al cospetto dei tuoi?

Lestat si agitò, l'Estraneo lo lasciò andare.

– Il Destino ci ha collocato qui, come pedine. Lo fa sempre e sempre lo farà. Per riequilibrare i nodi principali del suo ordito, o forse per semplice insensibilità, perché è un demiurgo crudele e annoiato. Ho smesso di chiedermelo. Almeno ci lascia la libertà di combattere per sopravvivere. Forse non esiste una cura per la tua malattia o forse invece mi sbaglio. Però esiste speranza, ancora, altrimenti non saremmo neanche più qui a gridare con i piedi immersi nel fango. Anche questo te l’ho detto a Château Montreuil. Come vedi, finora sono stato uomo di parola.

– Non ce la farò,–  bisbigliò Lestat fra i capelli bianchi che gli ricadevano sul viso chinato, – cadrò prima della fine.

– Lotterai per impedirlo, invece. Tutti lo facciamo, –  il tono sferzante s’infiacchì, – io per primo.

– Tu sei lo Shûn,– le spalle del conte s’afflosciarono e lui piombò in ginocchio con la spada in grembo, come schiacciato da un peso insostenibile, – il mito vivente.

– Io sono ancora carne e sangue. – mormorò lui, sperdendo in quell’ammissione ciò che rimaneva del suo furore. Diede la schiena al conte e si avviò verso il battello. – Rialzati e torna a bordo, –  gli disse senza voltarsi, – ci prepariamo per la notte.

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